La storia

sabato 28 Giugno, 2025

Pietro Darra, 102 anni, che servì in trattoria Degasperi, Nenni e Togliatti: «Mangiavano assieme, sembravano inseparabili. L’attentato a Palmiro? Ero lì»

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Oggi è tornato a Raossi (Vallarsa) ma a 13 anni andò a Roma per lavorare in un ristorante della capitale, davanti alla Camera: «Mi chiamavano il "tedesco" perché venivo dal Nord. Cosa mangiava lo statista trentino? Il venerdì baccalà»

Ci sono 26 gradi a Raossi, una delle 42 frazioni di Vallarsa. È fino a 700 metri di quota, lungo una stradina che affianca il bosco e che finisce tra gli alberi, che bisogna arrivare per ascoltare la storia di un testimone dei tempi che ormai sono quasi dimenticati. Di quella dell’Italia del cosiddetto secolo breve. La racconta Pietro Darra, che a fine maggio ha compiuto 102 anni. Nella sua abitazione ha una grande finestra che si affaccia sul versante sud della valle. Aspetta seduto fuori, sotto quella che in qualsiasi altra località ricorderebbe la pensilina della fermata di un autobus. Pietro non ha fretta: di sicuro non adesso e a sentirlo sembra non ne abbia mai avuta. Sorride. Si alza, con l’aiuto del bastone, e senza nemmeno troppa fatica. Qualche passo ed entra in casa (fino a non troppi mesi fa faceva anche qualche camminata), nella sua biblioteca dove ci sono anche i libri di poesie, le sue. E poi in cucina. Che per anni è stata la sua “casa”: a Roma prima, dove ha fatto il cameriere per quasi un quarto di secolo, e a Rovereto poi, dove ha gestito la Trattoria alla Posta e da Pierino, fino a quando, alla fine degli anni Ottanta, ha appeso il grembiule al chiodo. Aveva lasciato Vallarsa all’età di 13 anni ed era approdato nella capitale, dove la zia Maria Nina lavorava come portinaia alla Banca d’Italia e si era adoperata per trovargli un lavoro. «Dovevo imparare a fare il barbiere – ricorda – ma era lunedì e il suo negozio era chiuso. Così sono finito al ristorante di fronte, perché il proprietario aveva saputo che “uno del nord” era lì».
E poi?
«Ho cominciato lì, come lavapiatti».
E il barbiere?
«Quello si è arrabbiato. Però, insomma, lavorare in un ristorante voleva dire avere il pranzo assicurato, tutti i giorni».
Non era un ristorante qualsiasi.
«Il proprietario si chiamava Alfredo e il locale era l’Olimpia. Stava di fronte al Parlamento, alla Camera dei Deputati».
E chi lo frequentava?
«Un po’ tutti, politici e gente normale».
Ad esempio chi?
«C’era quello dei Qualunquisti (Guglielmo Giannini, che fondò il movimento nel 1944), persona educatissima e cortesissima. E ci venivano anche Pietro Nenni, Alcide Degasperi e Palmiro Togliatti».
Il socialista, il democristiano e il comunista: com’erano?
«Come tutti. Avevano sempre un tavolo per pranzo: mangiavano sempre assieme. Erano gentili».
E?
«A due passi di distanza erano avversari, ma lì sembravano inseparabili. Si trattavano bene».
Cosa mangiavano?
«Il venerdì, in genere, baccalà, quello me lo ricordo bene. Gli altri giorni pasta, preparata in diversi modi, tipo alla amatriciana. E bevevano vino, il Frascati bianco».
Qualche aneddoto?
«Per il proprietario ero Pierino, altrimenti mi chiamavano “il tedesco”, perché venivo dal nord. Degasperi parlava sempre bene del Trentino, anche questo me lo ricordo».
Che tipo era?
«Era il più simpatico dei tre».
Togliatti?
«Diciamo che era il più serio, austero quasi».
Nenni?
«Quello che lasciava le mance più generose».
Lei portava anche i pasti alla Camera, vero?
«Ci andavo tre volte al giorno in bicicletta, con il cestino. Andavo al Corpo di Guardia: alle volte c’erano i poliziotti, alle volte i bersaglieri, alle volte i carabinieri. La prima volta andavo per apparecchiare, poi portavo il pranzo e alla fine tornavo per portare via tutto».
E il giorno dell’attentato a Togliatti, il 14 luglio, lei c’era?
«C’ero, ero proprio lì. Sapevo da dove uscivano i parlamentari. Quel giorno ho sentito gli spari e poi ho visto i carabinieri catturare quello che ha sparato, un tipo piccoletto. Ero già stato lì ad apparecchiare, ma dopo aver visto la scena sono scappato e sono tornato subito al ristorante. Non so cosa abbiano mangiato i carabinieri quel giorno, ma noi abbiamo abbassato le serrande».
Cosa è successo?
«La rivoluzione, sembrava la rivoluzione. Trambusto in strada e tutti i negozi si sono affrettati a sbarrare le vetrine, come noi al ristorante. Almeno fino a quando la radio non ha dato la notizia che Gino Bartali aveva vinto il Tour de France. Poi è tornata la calma (e Togliatti sarebbe poi morto a Yalta 18 anni più tardi, ndr)».
Ha la televisione in casa: la guarda?
«Non la accendo quasi mai».
Cosa ne pensa dei politici di oggi?
«Perché crede che non guardi la tv? Non li capisco mica quando parlano, non so quello che dicono».
Lei che la guerra l’ha vissuta, ha paura oggi? È preoccupato?
«Paura no: alla mia età cosa mi potrebbe succedere? Preoccupato però lo sono».
Perché?
«Perché non capisco più questo mondo. Non capisco perché le persone non riescano ad andare d’accordo».
Le manca Roma?
«Ma quando mai! Mi piaceva passeggiare lungo il Tevere e andare verso il Vaticano. Facevo anche da cicerone a certe turiste, che alle volte avevano abiti un po’ troppo scollati e così le guardie svizzere le mandavano via, ma appena girato l’angolo c’era sempre qualcuno pronto a vendere qualcosa perché si coprissero. Adesso anche Roma è cambiata».
Lei è riuscito a evitare il fronte.
«Avevo falsificato la mia data di nascita sul documento di identità. Poi mi hanno scoperto e mi hanno mandato in Piemonte e sono riuscito a tornare indietro».
L’hanno pizzicata di nuovo.
«I repubblichini (i fascisti irriducibili, che si erano insediati a Salò, ndr), sì. Mi avevano caricato sul treno per la Germania, ma si è rotto proprio ad Ala. Sono scappato e ho trovato un passaggio su un camion fino a Rovereto e da lì sono tornato in Vallarsa. A piedi».
Il segreto per vivere così a lungo?
«Voler bene. Essere sempre pronti a dare una mano».
Quante pillole prende al giorno?
«Due».
L’ultima volta che ha visto un medico?
«Non so, di solito passa qui lui. Non me lo ricordo, ma so che mi aveva misurato la pressione».
Quando ha smesso di guidare?
«Mai avuto la patente. Mai. Una volta uno di Foxi mi voleva insegnare a guidare: mi ha messo al volante e poi ha detto che andava bene così. A quanto pare non era fatto per stare al volante».
E come si spostava?
«A piedi. Ho sempre abitato vicino a dove lavoravo».
Rimpianti?
«…».
Gioie?
«Mi guardi: sono qui. E ogni giorno, quando vado a dormire, ricordo al padreterno dove mi trovo».
E alza il bicchiere di vino per un brindisi. Il figlio Andrea sorride e dice che beve anche l’acqua, ma le preferisce la grappa.