Psico T
martedì 2 Dicembre, 2025
Ogni cervello è unico: cosa significa essere neurodivergenti a scuola e tra amici. E come costruire relazioni inclusive
di Stefania Santoni
La nuova puntata della rubrica PsicoT. La psicologa Daniela Skulina spiega autismo, Adhd e dislessia
Cari ragazzi, care ragazze, le nostre menti non funzionano tutte allo stesso modo, e questa è una ricchezza. In questo articolo incontriamo la psicologa Daniela Skulina, esperta in neuropsicologia per capire meglio cosa significa essere neurodivergenti e come possiamo costruire spazi (nella scuola e nella vita) in cui ognuno e ognuna possa sentirsi davvero visto, ascoltato e accolto.
Daniela, sempre più spesso si parla di neurodivergenze: autismo, Adhd, dislessia… Ma cosa significa davvero questa parola?
«La parola “neurodivergenza” indica un modo di funzionare del cervello che si discosta da quello più comune nella popolazione. Ma diverso non significa sbagliato. La sociologa Judy Singer, che negli anni ’90 ha introdotto il concetto di neurodiversità, ricordava una cosa semplice: se i nostri corpi non sono identici, perché il cervello dovrebbe esserlo? Ognuno pensa, percepisce e impara in un modo unico. Alcune persone rientrano in ciò che chiamiamo neurotipico, altre sono neurodivergenti, come chi è autistico, Adhd, dislessico o presenta altre modalità di elaborazione delle informazioni. Come ogni componente umana, anche il cervello è diverso l’uno dall’altro. Parlare di neurodivergenze può servirci a cambiare prospettiva: la diversità neurologica non è un problema da correggere, ma una parte naturale della varietà umana. Non esiste un cervello uguale all’altro ed è questa la bellezza di essere umani».
A volte, quando incontriamo una persona neurodivergente, ci capita di provare pietà o di pensare che abbia bisogno di essere «aggiustata»…
«Quando proviamo pietà verso una persona neurodivergente, senza rendercene conto la stiamo guardando dall’alto. È come dirle: “Tu sei fragile, io no”. Questo atteggiamento può essere dannoso perché riduce la persona alla sua neurodivergenza, come se la sua identità fosse un insieme di difficoltà da “aggiustare”. Ma nessuno vuole essere visto solo per le proprie difficoltà. La pietà fa male perché toglie spazio all’identità, ai talenti, ai desideri e alla storia che ogni persona porta con sé. Una persona neurodivergente non è un errore da correggere, ma un modo diverso e autentico di essere nel mondo. Le sue differenze non sono difetti, sono chiavi per comprendere realtà che magari, da neurotipici, non vediamo. Avvicinarsi con rispetto significa fare una cosa semplice ma potente; ascoltare e sospendere l’idea che abbiamo di “normalità” come misura universale e iniziare a chiedersi: come vive questa persona? Cosa la fa stare bene? Di cosa ha bisogno davvero? Quando smettiamo di voler “aggiustare” gli altri e iniziamo a conoscerli davvero, scopriamo che la diversità non divide: arricchisce, e ci rende possibile incontrare davvero le persone».
La scuola e i gruppi di amici possono essere luoghi difficili per chi vive e percepisce le cose in modo diverso. Cosa possiamo fare, come compagne e compagni di classe, per costruire relazioni più accoglienti dove nessuno si senta «fuori posto»?
«Costruire relazioni accoglienti significa riconoscere che ognuno vive la scuola in modo diverso: c’è chi parla poco, chi ha bisogno di più tempo, chi percepisce suoni, luci o emozioni in modo più intenso. Non esiste un modo giusto o sbagliato di essere. La cosa più semplice e potente è chiedere: cosa ti mette a tuo agio? Come posso comunicare meglio con te? Serve solo curiosità sincera e rispetto. Se qualcuno fa fatica a esprimersi, possiamo osservare come reagisce o chiedere a chi lo conosce come sostenerlo: un modo per capirsi si trova sempre. L’inclusione non serve a far vivere a tutti la stessa esperienza, ma a permettere a ciascuno di vivere la propria, sentendosi parte del gruppo. Quando accettiamo tempi, bisogni e modi di comunicare diversi, la scuola smette di essere un luogo a cui adattarsi e diventa un posto in cui stare.
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