L'intervista

martedì 30 Gennaio, 2024

Jannik Sinner, alle origini del mito. Il suo primo allenatore Mayr: «Ho pianto di gioia. Un giorno venne e mi disse: lascio lo sci»

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Il primo allenatore di Sinner, Heribert Mayr: «La svolta? Agli under 13 di Avezzano»

«Lo ammetto, ho pianto dalla gioia» dice Heribert Mayr, il primo maestro di tennis di Jannik Sinner, all’indomani del primo trionfo Slam in Australia del campione altoatesino. Siamo lì dove tutto è iniziato, al Tennis Center Südtirol di Brunico, dove c’è la Tennischool di Mayr e Andrea Spizzica in cui Sinner ha mosso i primi passi. Sesto Pusteria, il paese natio di Sinner, è 40 chilometri più sopra: Jannik dal 2009 al 2015, cioè fino a 13 anni e mezzo, quando emigrò a Bordighera all’accademia di Riccardo Piatti, scendeva qui per allenarsi. «Venne da noi che aveva poco più di sette anni – ricorda Mayr – Faceva già tanti sport, era bravo a calcio, portato per l’atletica leggera ed eccelleva nello sci. Infatti, non veniva qui più di due volte a settimana».
Era un tennista part-time…
«Ma già si vedeva che aveva qualcosa in più degli altri: dal timing sulla palla alla reattività fisica; ma a un certo punto avrebbe dovuto scegliere il suo sport. Per fortuna ha scelto il tennis».
Lei come ha influito sulla decisione?
«Un giorno, aveva dieci anni, gli dissi: ‘Cosa vuoi fare nella vita? Lo sci o il tennis? Devi deciderti prima o poi’. Mi rispose che ancora non lo sapeva…».
Quindi?
«Continuammo così ancora per un paio di anni, poi un giorno – aveva 12 anni – prima di una lezione mi disse: ‘Maestro, ho deciso’ – ‘Cosa?’ – ‘Mollo lo sci, voglio giocare a tennis’».
Lei era felice, immagino…
«Lì per lì ero perplesso, per la verità…».
Perché?
«Non me lo sarei mai aspettato, in quel momento lui era campione italiano di sci, mentre nel tennis non era ancora nessuno. Intendiamoci: vinceva dei tornei con i pari età, ma perdeva con quelli un po’ più grandi, comunque non aveva vinto ancora nulla di particolarmente importante».
Fu lungimirante.
«Jannik ha visto oltre, tanti ragazzini di quell’età avrebbero continuato nello sport in cui erano più forti, magari anche spinti dai genitori».
Sinner ieri ha ricordato che i suoi invece lo hanno lasciato libero di scegliere…
«Jannik nelle interviste spesso dedica un pensiero ai genitori. Vedete altri che lo fanno? Io no, questo dà l’idea di che bella persona sia. I suoi non gli hanno mai messo pressione e non si sono mai intromessi. Sa come mi dissero la prima volta che vennero qui con Jannik?».
Racconti.
«Lei è il maestro, faccia lei. Andarono via e tornarono a fine lezione».
Che bambino era Sinner?
«Sempre con il sorriso, era un piacere allenarlo. Ed è rimasto così. Per lui il tennis è prima di tutto un piacere, poi un lavoro. Jannik è serio, ma non serioso, in campo è talmente concentrato che non muove un muscolo, ma fuori è uno che si diverte tantissimo. Ora l’Italia sta scoprendo questo suo lato solare che ha sempre avuto. E non è freddo come si pensa, ha la sua emotività, ma la tiene dentro. Come Federer».
Ieri contro Medvedev nei primi due set lo si è percepito…
«Era emozionato, contratto, teso, sentiva il peso della sua prima finale Slam. Anche i colpi non erano fluidi come al solito».
Cosa ha pensato quando era sotto 2-0?
«Ci speravo ancora, ma ero scettico. Poi invece Jannik si è sciolto ed è tornato a giocare come sa. Era anche più fresco di Medvedev».
Al di là dell’aspetto tecnico, come spiega la rimonta di Sinner?
«Jannik ha più volte raccontato che ha scelto il tennis anche perché, a differenza dello sci, se sbagli puoi rifarti. Ieri ne abbiamo avuto la prova. Questo aspetto è decisivo nel capire appieno il ragazzo: come dicevo, non è di ghiaccio, questo a volte lo condiziona, però è tosto e ferocemente determinato, per questo non esce mai dalla partita e trova le chiavi giuste per riaprirla. Sa vincere l’emotività con la determinazione, ha imparato a farlo a 10-11 anni».
Cosa accadde?
«Iniziammo ad andare in giro per l’Italia a fare tornei e soffriva tantissimo la nostalgia di casa, eppure imparò a resistere; altri invece si facevano eliminare al primo turno. La svolta fu ad Avezzano, ai campionati nazionali Under 13: la mattina della semifinale mi disse che stava male, lo portai all’ospedale ma non aveva niente. Giocò, perse, eppure seppe reagire. Fu il passo verso la maturazione: è in quel momento che capì che se voleva seguire la sua strada avrebbe dovuto togliersi di dosso certe paure».
Mayr, lei ha pianto dalla felicità, ma dica la verità, la sente anche un po’ suo questo Slam?
«Beh un po’ di orgoglio c’è, qualcosa di mio credo di averlo messo nella formazione tennistica di Jannik. Mi sono commosso perché gli voglio bene, ci sentiamo ancora, non si è montato la testa. Lui è sempre quello».
È il primo Slam di Sinner, eppure nel circuito quasi tutti pensano che ne seguiranno altri…
«Lo credo anch’io. Non so se già quest’anno, ma certamente Jannik vincerà altri Slam. Può ripetersi già all’Us Open, ma anche a Wimbledon. Sulle superfici veloci si esalta, forse sulla terra gli manca ancora qualcosina».