Il forum del T

sabato 10 Maggio, 2025

Il procuratore Raimondi: «In 44 anni ho interrogato ventimila persone. Mafie? Le indagini non si fermano»

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Il giorno del suo 70esimo compleanno lascia la Procura di Trento e va in pensione. «Sicurezza? Il tema esiste sempre, ma i veri pericoli sono in rete. La magistratura è al servizio degli ultimi. Io, adottato dai trentini»

Entrato in magistratura nel 1981, il prossimo 12 maggio, nel giorno del suo settantesimo compleanno, Sandro Raimondi guiderà per l’ultima volta la Procura di Trento, poi andrà in pensione. «L’inchiesta più bella? Quella che devo ancora fare», dice con il sorriso al forum de il T. Lascia in consegna un messaggio: «Il tema sicurezza? L’ordine pubblico è sicuramente importante — spiega il procuratore— ma dobbiamo ampliare il concetto di sicurezza perché ci sono forme invisibili di criminalità che arrecano danni rilevanti».
Procuratore, ha mai contato tutte le inchieste che ha firmato?
«Non ho mai fatto questo calcolo, però credo di aver interrogato circa 20mila persone in 44 anni di carriera».

C’è qualche incontro che l’ha segnata?
«No, ma perché l’approccio deve essere molto freddo. Non ci sono imputati simpatici e antipatici, non ci sono reati odiosi e non odiosi. L’atteggiamento deve essere sempre freddo. E devi sempre ricordarti di avere davanti un uomo: per quanto possa essere accusato, è sempre un essere umano, quindi lo devi rispettare. Il nostro lavoro non deve essere un potere, ma deve essere considerato un servizio per gli ultimi, di chi non può difendersi da solo, di chi non ha la possibilità di avere avvocati importanti. Il pubblico ministero è al servizio di una collettività: non può essere considerato una parte del potere».

Siamo in una fase storica in cui la magistratura non è vista di buon occhio da una parte della classe politica. Come interpreta questa fase e come la vive?
«Io non leggo i giornali e non sento i telegiornali, quindi non so niente… (ride). Se c’è una crisi di rapporti, spero solo che si definisca. I conflitti, alla fine, si esauriscono. Ci sarà sicuramente un impegno da parte della magistratura e da parte della classe politica a risolvere questa situazione, che non fa bene a nessuno».

Guardandosi indietro, quali sono le inchieste di cui va più orgoglioso?
«Ce ne sono tante. Da quando sono arrivato a Trento ho potuto constatare, innanzitutto, che è una città diversa da quelle in cui ho prestato servizio precedentemente: Milano per 29 anni e Brescia per 8. Ho trovato una realtà molto positiva, ma se è immune da certi vizi, non è immune dal pericolo di criminalità aggressiva e criminalità organizzata. Dove ci sono situazioni di benessere arrivano coloro che vogliono approfittare. Io avevo già esperienze di indagini inerenti alla criminalità organizzata e al terrorismo. A Milano feci le indagini “Sanitopoli” con 2mila medici inquisiti e “Militaropoli” con 100 arresti di ufficiali dell’esercito. A Brescia abbiamo trovato 15 associati a una fazione di Al-Qaeda. Perciò quando sono venuto a Trento avevo già in mente di vedere certi settori. E grazie alla collaborazione con le forze di polizia, carabinieri e guardia di finanza – che hanno lavorato in modo esemplare – siamo riusciti a mettere in piedi determinate inchieste molto importanti. L’inchiesta principale? Non c’è, non si deve mai sposare un’inchiesta. La più bella inchiesta è la prossima, ma vado in pensione, quindi non la farò. Nell’ultimo giorno, però, abbiamo un’importante riunione operativa in tema di criminalità di un certo tipo».

L’inchiesta «Perfido» ha certificato la presenza della ‘ndrangheta in Trentino. Dopo il porfido, su cosa bisogna mantenere alta l’attenzione?
«L’attenzione ha diversi livelli. La pericolosità sociale è ormai stratificata. Il cittadino ha paura di essere assaltato da qualcuno quando torna a casa la sera e ha paura che i ladri gli entrino in casa. Anche se i delitti contro la persona sono diminuiti, ad esclusione del settore dell’omicidio da parte del compagno nei confronti della compagna o della moglie. Se fallisce un’impresa importante in un Comune, mette sul lastrico 6mila persone perché ci sono 600 dipendenti. Questo nessuno lo percepisce. Le possibilità operative devono guardare all’allocazione delle forze di polizia e delle forze di procura sul vero pericolo di danneggiare le persone. Quando sono arrivato a Trento, ho trovato subito una Provincia e un Comune virtuosi, che hanno permesso di fare sinergie operative molto interessanti. Per esempio, siamo stati l’unica Procura che ha fatto una convenzione con l’Azienda sanitaria che mette a disposizione h24 per 365 giorni i propri psicologi, neuropsichiatri infantili e traumatologi, che prendono subito in carico – insieme al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria – le donne vittime di violenza di genere. Poi abbiamo esteso questa convenzione anche a Rovereto. Questo è un aspetto importante perché la prima accoglienza delle vittime di violenza di genere è fondamentale per costruire bene il processo e vincere le cause. In seguito abbiamo costituito una task force operativa per la criminalità organizzata. Il problema della criminalità organizzata si pone, anch’esso, su più punti di vista».

A cosa si riferisce?
«In Trentino abbiamo scoperto – con un’indagine fatta dalla guardia di finanza – il vero modo di riciclare il narcodollaro da parte delle organizzazioni criminali intercontinentali. Noi avevamo un undercover (agente sotto copertura) che era in contatto con i più importanti narcotrafficanti del Sud America. Gli è stato chiesto se fosse stato disponibile a ricevere un milione di euro nel giro di quattro giorni in una città italiana. L’undercover ha accettato e ha dovuto mandare la foto di una banconota da 5 euro a un numero colombiano. Poi si è incontrato con il corriere. Lo scambio è avvenuto dopo la verifica del numero di matricola della banconota. Successivamente il mio undercover ha portato il denaro in una banca dove c’era una società finta, d’accordo con l’amministratore delegato della banca. Questo conto è stato poi utilizzato per altri messaggi inviati dalla Colombia: 100mila euro a Miami, 200mila euro a una società cinese, e così via. Questi accrediti, poi, sono stati utilizzati da queste società per vendere beni di lusso alle società colombiane. Così la traccia bancaria veniva spezzata. Era impossibile ricostruire il reale destinatario del riciclaggio: abbiamo identificato tutte le persone che avevano portato il denaro e che facevano parte di associazioni criminali dedite allo spaccio. La forza del Cartello del Golfo è quella di vendere in anticipo un conto vendita, e non farsi pagare prima. Abbiamo fatto operazioni di questo tipo in 15 procure e abbiamo lavorato con un’agenzia statunitense federale che si occupa di cybercrime. Le sinergie sono fondamentali: oggi si gioca in squadra, non c’è spazio per i solisti. Ma questo modo di riciclare il denaro è obsoleto: oggi comprano in criptovaluta. Su questo sono venuti qui i colleghi della procure di Bogotà e Miami per lavorare insieme».

Non è facile stare al passo con l’evoluzione dei metodi della criminalità organizzata: come si riesce a stare sempre sul pezzo?
«In due modi: lavorando senza guardare l’orologio e investendo in cyber device. Se si investe, si può vincere, si può arrivare a dare un nome all’anonima criptovaluta. Anche perché oggi il crimine informatico non è il futuro, ma è il passato prossimo. I cyber attacchi sono all’ordine del giorno: tutte le imprese italiane sono oggetto di hackeraggio dei banditi di internet. Chi ci ruba il futuro sono questi soggetti che utilizzano determinati strumenti tecnico-finanziari all’avanguardia».

L’intelligenza artificiale può tornare utile anche alle indagini delle procure?
«Certo, noi siamo l’unica Procura che utilizza l’intelligenza artificiale nella fase delle indagini preliminari. Abbiamo fatto una convenzione con Provincia, Trentino digitale e Commissariato del governo per la creazione di una piattaforma che sfrutta “Qlik Sense”, che ci consente di mettere insieme dati eterogenei. Per adesso ci siamo limitati a dati che riguardano società e imprese che ricevono denaro e hanno particolari benefici. Questa piattaforma ci permette di ridurre di molto i tempi di analisi e confronto dei dati. Quando abbiamo arrestato gli anarchici nel 2019, abbiamo utilizzato un sistema di Fbk che ha potuto mettere a sistema e confrontare 40 terabyte di dati incompatibili tra loro: se le forze di polizia avessero voluto analizzare questi terabyte, avrebbero impiegato 10 anni, invece noi abbiamo impiegato 2 giorni».

Durante la campagna elettorale di Trento uno dei temi più caldi è stato quello della sicurezza: c’è un tema «sicurezza» nel capoluogo e nell’intero Trentino?
«Il tema “sicurezza” esiste sempre. Certo, per quanto riguarda la sicurezza di strada, è più facile lavorare in Trentino anziché in una città del Sud. Ma la sicurezza deve avere un altro piano, quello della sicurezza economica, finanziaria e informatica. Dovremo sempre avere il vecchio “sbirro”, ma accanto a lui dovranno esserci specializzati ingegneri, informatici e statistici. Bisogna lavorare su quei piani che sfuggono al pensiero delle persone comuni. Se a Lavis fallisce un’azienda che dà lavoro a 400 famiglie, è un problema di sicurezza. L’ordine pubblico è sicuramente importante, ma dobbiamo ampliare il concetto di sicurezza perché ci sono forme invisibili di criminalità che arrecano danni economici rilevantissimi».

Prima ha citato il fenomeno della violenza di genere, lei ha assistito alla costruzione e alla messa a terra della norma sul Codice rosso. Quanto ha inciso e quanto ancora si può fare?
«Questa norma è stata molto importante. Ma è altrettanto importante investire nelle attività preventive. Aumentare le pene serve a poco. Può essere utile, invece, avere la possibilità di intercettazioni di un certo tipo e, soprattutto, avere più personale che si occupa di questo fenomeno. Quando sono arrivato a Trento c’erano solo due sostituti procuratori che si occupavano del cosiddetto Codice rosso, io li ho portati subito a quattro. La collaborazione con la Provincia è stata ottima con la costituzione di una task force. E abbiamo case rifugio meravigliose, una a Trento e una a Rovereto. Tutto deve essere coordinato. Lo scorso anno, per esempio, i carabinieri hanno inaugurato una stanza nella loro sede di via Barbacovi per l’accoglienza delle donne vittime di violenza: sembra di entrare nel salotto di casa. L’aspetto psicologico è fondamentale perché significa mettere a proprio agio una donna che va a denunciare 20 anni di botte. Adesso, per fortuna, denunciano di più. Oggi denuncia il 10-15% delle donne, speriamo di arrivare al 40-50%. Quando c’era il Covid feci un provvedimento che non aveva fatto nessuno: ho disposto l’allontanamento dell’uomo, e non della donna, dalla casa familiare».

Un tema molto sentito, soprattutto in città, è quello legato allo spaccio di sostanze stupefacenti, anche perché si tratta di un fenomeno visibile e quindi incide sulla percezione della sicurezza. Trento può essere considerata un’importante piazza di spaccio? E i migranti coinvolti in queste attività sono vittime o promotori della filiera dello spaccio?
«Tutto coesiste. Ci possono essere coinvolgimenti attivi da parte di italiani e da parte di stranieri. Non è un discorso razziale. Sicuramente si può dire che molti possono spacciare con il permesso della criminalità organizzata di stampo italiano: quello che controlla il traffico della cocaina può essere uno dei maggiori controllori della ‘ndrangheta. Quelli che spacciano per strada sono le pedine minori. I veri signori della droga non si sporcheranno mai le mani in piazza. Non si può fare un discorso di nazionalità. Sicuramente ci sono persone che vengono qui, non hanno lavoro e vengono assoldate. Il fenomeno degli stupefacenti è uguale a quello di tutte le altre città italiane. Il dato impressionante e desolante è quello riguardante la domanda di stupefacenti».

Per quanto riguarda l’inchiesta sul bypass per inquinamento e disastro ambientale, si arriverà alla bonifica dei terreni inquinati ex Sloi e Carbochimica (area Sin)?
«Noi abbiamo costituito una cabina di regia con Provincia, Comune, Commissariato del governo, Appa, ministero dell’Ambiente e Ispra. Il tavolo sta effettuando una sinergia operativa per risolvere tutti i problemi dell’area Sin e quelli relativi al passante ferroviario. Il nostro scopo è quello di arrivare alla bonifica dei terreni e assicurare che i lavori siano fatti in sicurezza».

Ora le rivolgiamo una domanda formulata da una classe di studenti, raccolta durante il progetto de il T con le scuole: cosa accade dopo l’inchiesta «Perfido» sulla ‘ndrangheta? Ci sono dei settori economici particolarmente critici? Le nuove generazioni come possono attrezzarsi in termini di anti-corpi, per essere cittadini e cittadine migliori?
«Dopo “Perfido” c’è stata l’operazione “Pitagora”, collegata a “Maestrale”. I colleghi di Catanzaro, in conferenza stampa, hanno ringraziato la Procura di Trento per aver fatto partire l’indagine, che ha poi consentito l’arresto della ‘ndrina di Isola di Capo Rizzuto. È stata chiamata “Maestrale” perché è il vento che viene da nord. Le indagini vanno sempre avanti e non si fermano. Noi abbiamo i migliori investigatori del mondo: carabinieri, polizia e guardia di finanza sono i migliori detective del mondo perché abbiamo avuto palestre formative come Cosa Nostra, Brigate Rosse e terrorismo, che hanno plasmato una generazione di investigatori. Ora sto studiando l’impatto della tecnologia nei bambini da 0 a 3 anni. In quella fascia d’età il bambino non sa leggere, ma sa scegliere da solo il cartone animato sullo smartphone. Tra dieci anni questo bambino sarà un consumatore e a 18 anni sarà un elettore o un non elettore. Io studierei come fare una controcultura della controcultura di internet, che sta condizionando e appiattendo i cervelli delle giovani generazioni. Ecco il messaggio che voglio mandare a questi studenti: leggete i libri e non Tik Tok, così un domani riuscirai a pensare e se pensi non delinqui e non sei vittima del delinquente».

Sulle recenti inchieste Sciabolata e Romeo può dirci qualcosa?
«È ancora troppo presto…»

Ora che andrà in pensione, invece, ha progetti, viaggi da fare?
«Ma no… Io sono una persona normalissima. Continuerò a fare le gite: dalla Paganella al lago, fino alle città di mare. Io, comunque, sono residente a Trento. Sono stato adottato dai trentini».