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mercoledì 15 Ottobre, 2025

Esplosione nel Veronese: dall’incidente del 2012 al mare di debiti. Così i fratelli Ramponi sono finiti nell’abisso

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Tre tentativi di sfratto erano andati a vuoto. I vicini erano preoccupati per gli esplosivi

All’origine della tragedia avvenuta ieri (martedì 14 ottobre, ndr) pomeriggio, quella che è costata all’Arma dei Carabinieri il maggior numero di morti dalla strage di Nassiriya, c’è un incidente stradale che, a prima vista, sembra uno dei tanti.

Era una fredda sera di gennaio, anno 2012: nella profonda Bassa Veronese, al confine con la provincia di Mantova, avviene un tamponamento fra un’auto e un trattore. All’interno della macchina c’è un 37enne che abita poco lontano, Davide Meldo.

La sua Seat si disintegra sotto il mezzo agricolo e lui muore sul colpo. Alla guida del trattore, invece, c’è uno dei fratelli Ramponi, gli stessi che hanno aperto il gas, nella notte tra lunedì e mercoledì, all’arrivo dei carabinieri del nucleo operativo di Padova e del battaglione di Mestre. Di norma, è responsabilità della persona che ha tamponato assicurarsi di mantenere la distanza di sicurezza. Ma in questo caso il tribunale ha riconosciuto la colpa del conducente del trattore: viaggiava con i fari spenti nonostante fosse già buio. Quell’incidente segna l’inizio dei guai economici per i fratelli Ramponi, che condividono la proprietà di un’azienda agricola in via San Martino, a Castel d’Azzano, nella frazione di Forette.

Obbligati a un risarcimento pesante non ottengono nulla dall’assicurazione e cominciano a contrarre i debiti. I soldi vanno ai familiari di Meldo ma, poco dopo l’incidente, i genitori, che già avevano perso un altro figlio sempre a causa di un sinistro stradale, muoiono entrambi: tragedia nella tragedia. Ci saranno altri due tentativi, con analoghe conseguenze. Ecco perché, questa volta, c’era stata un’imponente mobilitazione delle forze dell’ordine, concordata durante il comitato di ordine e sicurazza pubblica. Nessun blitz a sorpresa: i Ramponi, anzi, sapevano della scadenza. La preoccupazione era condivisa anche dai vicini di casa, che avevano notato – e segnalato – la presenza di esplosivi artigianali. Le famose bombe molotov: quelle con cui Maria Luisa Ramponi ha innescato l’esplosione in cui sono morti tre carabinieri: Davide Bernardello, Marco Piffari e Valerio Daprà, ferendo altri 27 tra colleghi dell’Arma e agenti di polizia.

Intanto, i nodi arrivano al pettine e l’anno scorso, dopo una lunga serie di udienze e di ricorsi, l’anno scorso viene effettuato il primo tentativo di sfratto: i tre fratelli, Dino, Franco e Maria Luisa, si oppongono: salgono sul tetto e minacciano di aprire il gas. Quello delle bombole, perché la loro casa manco era allacciata alla rete.