l'intervista

sabato 9 Agosto, 2025

Diego Mosna e i 25 anni di Serie A della Trentino Volley: «Abbiamo scritto la storia. La svolta? Quando arrivò Kaziyski»

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Il fondatore dell'Itas: «I ricordi più belli? Le finali di Champions che organizzammo a Bolzano: ci volle un capolavoro tecnico per posare il parquet sulla piastra del ghiaccio del PalaOnda»

Se oggi è «quasi normalità» avere in città la squadra di pallavolo maschile con lo scudetto cucito sul petto, il merito è anche di quanto successo un quarto di secolo fa. Correva il 2000: nei portafogli degli italiani c’erano le lire, Alessandro Michieletto non era nemmeno nei pensieri di papà Riccardo e mamma Eleonora e il Trentino non aveva mai toccato con mano la massima serie negli sport più diffusi. In maggio, con l’allora Itas Btb Mezzolombardo di A2 che aveva sfiorato il grande salto, ecco l’acquisizione del titolo sportivo da Ravenna e la nascita di Trentino Volley, società che avrebbe poi scritto pagine indelebili di storia. Primo presidente, e tutt’ora tra i primissimi tifosi nonché voce autorevole nelle stanze societarie di via del Brennero, Diego Mosna, imprenditore classe 1948 che è stato per un decennio anche presidente della Lega Pallavolo Serie A.

 

Mosna, cosa ricorda di quell’estate di 25 anni fa?
«È già passato un quarto di secolo, ma certe sensazioni le ricordo benissimo. Si respirava una grande emozione, un po’ come quando si inizia una nuova avventura con molto da scoprire. C’erano tanti appunti in agenda: bisognava partire subito con una nuova squadra (del team di A2 restarono solamente l’iberico Enrique de la Fuente e il giovane Matteo Burgsthaler, ndr), ma di questo se ne occupava il direttore sportivo Massimo Dalfovo, e con una nuova struttura che doveva farsi trovare pronta con il salto in un campionato difficilissimo».

 

Con ottobre arrivò poi il momento di scendere in campo…
«C’erano stati dei ritardi nella consegna del nuovo palazzetto di via Fersina, quindi chiedemmo di giocare la prima giornata in trasferta, tanto che ci toccò subito una piazza blasonata come Parma. E sapete a cosa furono dovuti i ritardi nei lavori? Alle docce degli spogliatoi, che erano state posizionate a 2 metri d’altezza… non proprio una quota ideale per delle squadre di pallavolo piene di ragazzi ben più alti! Non potendo spostare i tubi, hanno scavato sotto per renderle più alte. Sistemato questo imprevisto, il 22 ottobre 2000 ci fu la prima partita casalinga, contro Padova: una vittoria sofferta un 3-2 con set lunghissimi, ma per questo ancora più bella, davanti a un pubblico strabordante. Ci fu anche una sorta di premiazione con il sindaco Alessandro Pacher, c’era proprio la sensazione di una città che sportivamente stava uscendo dagli angusti confini montani per affacciarsi ai massimi palcoscenici».

 

Vi aspettavate una risposta del genere da parte del pubblico trentino?
«Se è vero che c’era già uno zoccolo importante formatosi durante le annate in B e A2 di Mezzolombardo (tra i cadetti la squadra rotaliana giocava a Gardolo, ndr), è altrettanto vero che non ci aspettavamo un aumento così considerevole. E la cosa più importante è che non è stata una fiammata destinata a spegnersi rapidamente, ma l’inizio di una costruzione di rapporto duraturo con un pubblico che riempie tutt’ora il palazzetto. A quei tempi ospitare Treviso o Modena sembrava già incredibile, già l’esserci era una grande soddisfazione: inizialmente il palazzetto era una scatola quasi vuota, poi negli anni è stato fondamentale l’impegno del comune intervenuto con le tribune aggiuntive che man mano hanno creato l’attuale arena da 4000 posti».

 

A proposito, secondo lei alla città serve un nuovo palazzetto?
«Penso che avendo due squadre ai massimi livelli come Trentino Volley e Aquila Basket, il tema è quantomai sentito. Se poi tornasse in A1 anche l’Itas femminile, senza dimenticare che anche altre realtà potrebbero raggiungere livelli importanti, è evidente che con la sola struttura attuale si fa sola fatica. Insomma, se si parla di un nuovo stadio, a maggior ragione a Trento si deve pensare a un nuovo palazzetto».

 

Tornando alla storia di Trentino Volley, c’è stato un momento di svolta che vi ha trasformato da una “semplice” squadra di A1 a una formazione da scudetto, o già 25 anni fa si progettava il cammino poi intrapreso?
«È normale che qualsiasi storia sportiva nasca con la voglia di vincere, ma nel 2000 noi non ci facevamo illusioni. Al primo anno in A1 ci siamo salvati con sofferenza, dalla seconda stagione abbiamo cominciato a crescere. La svolta è arrivata poi con l’arrivo di Matej Kazijski, nel 2007: era alla Dinamo Mosca ed era considerato tra i più forti giocatori del mondo quando, con i vice allenatori della squadra russa Radostin Stoychev e Sergio Busato, decisero di sposare il progetto di Trento, realtà nuova ma che aveva il pubblico migliore d’Italia per numero e qualità. Poi con avvento di Osmany Juantorena completammo il quadro, costruendo quella che divenne la formazione da battere in tutto il mondo per diversi anni: ancora oggi tutti vorrebbero avere una squadra così».

 

Inutile quindi chiederle chi è il giocatore simbolo di questo quarto di secolo.
«L’unica maglia che è stata ritirata nella nostra società è quella di Kazijski, l’atleta che ha giocato più partite con noi (433 match conditi da 6066 punti), e poi ha sempre combattuto in campo, anche quando non era al top: Matej è stato un esempio come atleta e come uomo, una figura davvero straordinaria».

 

Con lo scudetto numero 6 centrato il 7 maggio a Civitanova, Trentino Volley conta ora 22 titoli: quale il trionfo più bello?
«Il primo scudetto del 2008 (sempre il 7 maggio, ndr) è stato qualcosa di incredibile: gara 3 con Piacenza, la festa in città durata tutta la notte, poi vedere le prime pagine dei giornali e le decine di pagine dedicate a noi… Altri successi significativi furono poi la prima Champions a Praga un anno più tardi, con la straordinaria finale contro l’Iraklis Salonicco spinta da 6mila tifosi, mentre noi trentini eravamo un migliaio, poi le finali di Champions che organizzammo a Bolzano: ci volle un capolavoro tecnico per posare il parquet sulla piastra del ghiaccio del PalaOnda: battemmo una fortissima Dinamo Mosca con tutta la regione in tribuna, la curva con 2000 persone tutte in giallo è un ricordo indelebile».

 

Tra tanti successi c’è pure qualche rimpianto per qualcosa che non è andato come si sperava?
«Sono dell’idea che la vita sia costellata di cose buone e meno buone, poi la natura umana porta a ricordare le cose belle e a dimenticare quelle brutte: non parlerei quindi di rimpianti, visto che la maggioranza della nostra storia è caratterizzata da cose positive».

 

E il presente parla di una squadra nuovamente con il tricolore sul petto.
«In due anni, con il nuovo assetto societario, Trentino Volley ha raccolto Champions League e scudetto, mica male. Siamo in un periodo di nuovo consolidamento al vertice, la compagine sociale è più solida di prima, la figura di Marcello Poli mi soddisfa, la considero una garanzia».

 

In panchina, al posto di Fabio Soli, ecco l’argentino Marcelo Mendez. Cosa si aspetta dal nuovo coach?
«Ho avuto modo di conoscerlo di persona, ma non vedo l’ora di vederlo sul campo. Quel che è certo è che ha un’esperienza internazionale importante, conosce molto bene tante diverse realtà, ha vinto molto in carriera e ha la maturità per gestire una squadra che va forte, ma che nel contempo ha bisogno di un timoniere di sostanza. Anche perché sarà una stagione intensa e particolare, con il campionato compresso tra tanti altri appuntamenti: la sua esperienza potrà fare la differenza nella gestione del gruppo e dei vari momenti topici che si susseguiranno in stagione».