in aula
mercoledì 29 Ottobre, 2025
Botte, minacce e rapporti sessuali non consensuali: 50enne condannato a 12 anni per abusi sulla compagna
di Simone Casciano
Le aggressioni avvenute anche davanti ai due figli piccoli, l’intervento delle forze dell’ordine dopo una denuncia dei vicini. Ora la fine dell’incubo
Costringeva la compagna a rapporti sessuali non consensuali, continuamente aveva abusato della donna fisicamente, con botte e percosse, e verbalmente, chiamandola «schifosa», «obesa» e minacciandola di morte, tutto questo anche davanti ai due figli minorenni. Ora quest’uomo, un cinquantenne arrivato qualche anno fa in Trentino da un’altra regione italiana insieme alla donna, dovrà scontare 12 anni di reclusione per maltrattamenti — con l’aggravante della violenza assistita — e violenza sessuale. Questa la sentenza emessa in rito abbreviato dal giudice Borrelli del Tribunale di Trento.
È stata una telefonata a far finire un incubo che, per una donna e i suoi figli di 7 e 2 anni, durava da almeno 7 anni. Una chiamata anonima, di un vicino, avvenuta il 24 maggio 2024, che ha allertato le forze dell’ordine riguardo all’orrore che si compiva in una casa di Trento, ponendo fine alle ripetute violenze e permesso alla donna e ai suoi figli, ora ospitati in una struttura protetta, di iniziare un percorso di affrancamento da quell’uomo violento.
Violenza, minacce e percosse
Sono state le indagini, condotte dalla pm La Femina e degli agenti di polizia giudiziaria, a documentare le violenze avvenute almeno a cominciare dal 2018. L’uomo, un cinquantenne operaio edile con lavori saltuari e precedenti specifici, per l’accusa maltrattava abitualmente la compagna, anche alla presenza dei due figli minorenni, compiendo atti di violenza fisica, psicologica, economica e sessuale. La donna veniva costantemente denigrata per il suo aspetto fisico, per come educava i figli e per come teneva la casa. In più occasioni l’uomo l’avrebbe definita «schifosa», «obesa», «sporca» e termini peggiori. In più occasioni il cinquantenne aveva minacciato di morte la donna dicendole «ti ammazzo», «ti butto dall’ottavo piano» o «ti do fuoco». Spesso sotto l’effetto di alcool e sostanze stupefacenti, secondo l’accusa, la colpiva con calci e pugni. L’uomo esercitava anche una forte violenza psicologica sulla donna, controllandola, dissuadendola dal denunciarlo dicendole che gli assistenti sociali le avrebbero tolto i figli. Non solo, l’uomo impediva alla donna l’accesso al denaro della famiglia, impendendole di fare acquisti per sé e per i figli, mentre lui spendeva tutto in alcool e droghe, e costringendola a nascondere quei pochi soldi che riusciva a racimolare per fare poi la spesa e mantenere i figli. In più occasioni, sempre sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, l’uomo ha costretto la donna ad avere rapporti sessuali non consenzienti e costringendola a non usare metodi contraccettivi. Le violenze si allargavano al resto della casa, il cinquantenne lasciava in giro coltelli, visibili alla compagna e ai figli, per intimorirli. Anche la figlia minorenne non è stata esente da maltrattamenti diretti, insulti, minacce di percosse e in un’occasione spingendola giù dalle scale.
L’arresto
Un incubo finito il 24 maggio 2024 con l’intervento dei Carabinieri, allertati da un vicino. L’uomo era rientrato a casa in evidente stato di alterazione per abuso di alcool e aveva iniziato a inveire contro la compagna e i figli. Dalle parole era passato alle violenze fisiche, anche in presenza dei carabinieri l’uomo non si era calmato e aveva continuato a insultare e minacciare la donna. Al telefono con la madre, l’uomo aveva poi continuato a insultare la compagna dicendo «questa deve pagare». Per questi motivi l’uomo è stato portato nella casa circondariale di Spini di Gardolo dove si trova tuttora.
La sentenza
In rito abbreviato la pm La Femina aveva chiesto per l’uomo una condanna a 9 anni e 4 mesi, con il giudice Borrelli che ha invece deciso per una condanna a 12 anni. La difesa, che aveva chiesto l’assoluzione, valuta il ricorso in appello. I figli, costituiti parte civile, sono stati seguiti dall’avvocato Giorgio Pontalti, la donna dall’avvocata Tamara Lorenzi. Per loro questa sentenza è un altro passo per allontanarsi da quella casa di dolore di cui erano prigionieri.
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