L'intervista

martedì 17 Giugno, 2025

Attacco all’Iran, parla il professor Pejman Abdolmohammadi: «La capacità militare degli ayatollah è indebolita. Otto persiani su dieci vogliono una società laica»

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Il docente alla Scuola Studi Internazionali dell'Università di Trento: «La Russia ha un accordo con gli Stati Uniti, lascia il Medioriente per concentrarsi sull'Europa orientale»

È guerra tra Israele e Iran. La tanto paventata escalation, in un quadro geopolitico peraltro già in fiamme, si è materializzata nella notte tra giovedì 19 giugno e venerdì 20 con l’attacco israeliano sui siti nucleari iraniani, nonché l’eliminazione della catena di comando militare e strategico del regime degli ayatollah, e la risposta di Teheran coi missili iraniani su Israele: «Magari un po’ più tardi, ma mi aspettavo che Israele avrebbe attaccato. È parte di un nuovo paradigma che ha in mente Donald Trump, vale a dire un Medio Oriente stabile e industrializzato che possa diventare un importante attore sul quale gli Stati Uniti contano per colpire la Cina. Un paradigma che non prevede la presenza degli ayatollah. La Repubblica Islamica non ha cittadinanza nel nuovo ordine mondiale e per questa ragione va fatta fuori», spiega Pejman Abdolmohammadi, professore associato alla Scuola di Studi Internazionali all’Università di Trento e collaboratore del T Quotidiano.

 

«Eccellente operazione», ha definito Trump l’attacco israeliano. Parole che sanno di avallo.
«Trump voleva fare questa cosa seguendo il suo metodo, diciamo da business, facendo pressioni forti e sperando che le cose mutassero per far cadere la Repubblica Islamica da dentro. Non ha trovato l’interlocutore giusto, allora la parte del poliziotto cattivo la fa Israele, in quanto ha capito che la Repubblica Islamica stava per avere la sua prima arma nucleare e che il tempo stava ormai per scadere».

 

Al suo insediamento Trump aveva promesso, però, che le guerre sarebbero finite in una settimana. Allora erano due, ora ne abbiamo tre…
«Trump non è riuscito a far cessare il fuoco sul fronte Russia-Ucraina e Israele-Palestina, ma è anche vero che queste guerre in questo momento secondo me sono in connessione con quanto sta accadendo tra Israele e Iran. A mio avviso Trump non è quel folle che si dice, ma ha una strategia: sta toccando cose molto più strutturali, diciamo che sta aggiustando il backoffice dietro le quinte. Non possiamo avere più lo stesso sistema che abbiamo avuto negli ultimi sessant’anni, lasciando lì al loro posto dittatori autoritari mentre in giro per il mondo abbiamo proxy terroristi e gang di criminali come Hamas e Hezbollah a seminare il terrore. Questa roba deve sparire. Il nuovo Medio Oriente deve nascere dalle fondamenta: la laicità non la deve però portare l’Occidente, ma deve venire da dentro. Oggi lo possiamo fare ed è una grande opportunità. L’Iran ha una società laica liberale molto moderna, più moderna ad esempio di quella turca, che dopo quarantacinque anni di islamismo non va lasciata sola come hanno fatto Unione Europea e in passato gli Stati Uniti. Si è creata una polarizzazione tra una società all’avanguardia e incredibilmente frizzante e un regime monolitico e arcaico ma che fino all’ultimo non mollerà».

 

Netanyahu si è rivolto a questa parte delle società iraniana.
«So bene qual è l’immagine di Netanyahu nel mondo, ma devo dire che il suo è stato davvero un gran discorso in cui ha saputo toccare i punti essenziali che nessuno per mesi aveva mai toccato. Ha parlato quasi da leader dell’opposizione persiana. Non so se il discorso che ha fatto è suo o glielo hanno scritto, ma è stato incredibile».

 

Sì, ma il rischio è bello grosso, non crede?
«C’è un patriottismo persiano, laico e liberale, che rappresenta l’80% del popolo. Chiaro che se Israele continuerà anche in Persia a commettere errori e a uccidere civili, donne e bambini, cambierà l’atteggiamento di questo patriottismo persiano e la situazione si farà sempre più delicata. La guerra si fa anche sulle narrative».

 

La posizione dell’Unione Europea?
«L’Unione Europea non ha chiavi interpretative in questo momento. Abbiamo visto nel recente passato la miopia dell’élite europea, e mi riferisco ad esempio al commissario Mogherini, nell’andare in visita in Iran con il velo dicendo che lo metteva per rispettare la cultura di un popolo, ignorando che nella Repubblica Islamica le donne perdono la vita per non portare quel velo».

 

E dei Paesi arabi del Golfo?
«Son preoccupati, non volevano questo attacco. A loro interessa una Repubblica Islamica debole ma vivente. Speravano che Trump facesse un accordo con Israele per non attaccare e che la Repubblica Islamica venisse indebolita ma non distrutta, in modo da porsi in prima fila come l’avanguardia e il volto buono del mondo arabo. A loro la Repubblica Islamica fa comodo “barbuta”, diciamo. Anche Turchia, Azerbaijan e tutti i Paesi confinanti hanno questo stesso interesse. Ai tempi dello Scià non c’era partita tra Persia e Paesi del Golfo, oggi la situazione si è rovesciata. Nessuno di questi Paesi vuole torni sulla scena una nuova Persia da competitor. Una Persia laica e prospera la vogliono l’80% dei persiani, gli Stati Uniti e Israele».

 

Che capacità bellica ha l’Iran?
«Una capacità militare molto indebolita. Ha ancora cartucce, ma limitate. Abbaia ma non potrebbe mai spazzare via Israele. L’attacco coi droni è stato ridicolo, mentre la missilistica può far male ma solo per un po’ di tempo. Israele lo sa, ed è un costo può sostenere e ha messo in preventivo. Siamo di fronte a una situazione asimmetrica: semmai, è il male che Israele può fare alla Repubblica Islamica a essere di carattere esistenziale».

 

L’Iran ha due alleati, Cina e Russia.
«In realtà l’unico alleato che potrebbe salvare la Repubblica Islamica è la Cina, il suo padrino principale, ma dovrebbe fare una mossa assai azzardata in questo momento».

 

E la Russia?
«È alleata, ma ha già barattato Siria e Iran con l’America. E in Siria abbiamo visto come è andata. La Russia mira a riprendersi l’influenza sull’Europa Orientale e in Asia Centrale, ma lascia il Medio Oriente. Il patto è questo».