l'intervista
giovedì 3 Luglio, 2025
Cinquant’anni fa Francesco Moser batteva Eddy Merckx: «Sei giorni in maglia gialla sfidando il cannibale»
di Lorenzo Fabiano
Il campione di ciclismo ricorda il Tour de France del 1975: «Gli organizzatori erano così sicuri che vincesse lui che, quando mi consegnarono la maglia c’era stampato “Molteni”, la squadra di Merckx. Me ne prepararono subito un’altra»

Fu la prima e unica volta. E che volta. Cinquant’anni fa a Charleroi, in Belgio davanti agli emigrati italiani in festa, Francesco Moser batté Eddy Merckx nei sei chilometri a cronometro del prologo del Tour de France del 1975 e indossò la maglia gialla. «Il Cannibale» non prese lo smacco benissimo, reagì furente nelle tappe successive e tra i due fu ferro e fuoco per una settimana. Merckx si riprese la maglia alla sesta tappa, nella crono di Merlin Plage, Francesco vinse un’altra tappa e chiuse poi il Tour settimo con la maglia bianca di leader della classifica dei giovani. Quel Tour passò alla storia come «La presa della Bastiglia»: Merckx, quando sembrava ormai la sua strada fosse spianata verso il trionfo a Parigi, crollò sulle Alpi e i francesi festeggiarono la vittoria di Bernard Thevenet. Fu la fine di un’era, l’era di Eddy Merckx, uno spartiacque nella storia del ciclismo.
Francesco, che ricordi…
«Son passati cinquant’anni, portai la maglia gialla per una settimana, poi indossai fino a Parigi la maglia bianca dei giovani che era stata istituita proprio in quell’edizione del Tour. Fu anche la prima volta che la Grande Boucle si concluse sugli Champs Élysées: al termine noi vincitori delle varie maglie fummo ricevuti dal presidente Valéry Giscard d’Estaing. Ora sono in partenza per la Francia, sono stato infatti invitato a Lille per la partenza del Tour e anche per il gran finale a Parigi, ma ho visto che fa un gran caldo anche lì, tanto che hanno persino chiuso l’accesso alla Torre Eiffel».
Battere Merckx nel prologo a cronometro fu un colpo di scena.
«Gli organizzatori erano così sicuri che vincesse lui che, quando mi consegnarono la maglia gialla c’era stampato “Molteni”, la squadra di Merckx. “Ma questa non è la mia squadra, io corro per la Filotex” gli feci notare, e ne prepararono subito un’altra».
Ne venne fuori un’aspra battaglia tra lei e Eddy.
«Sì, e durò una settimana. Lui prese la maglia alla sesta tappa, e io vinsi il giorno dopo a Angoulême. Poi, caddi in discesa sui Pirenei e mi feci male a una spalla. Il giorno dopo c’era un altro tappone e presi una decina di minuti. Da lì alla fine guadagnai posizioni e a Parigi arrivai settimo con addosso la maglia bianca dei giovani. Nella mia carriera, un ricordo importante. Merckx pagò dazio nello spremersi in quella prima settimana: andò in crisi sulle Alpi nelle tappe di Pra Loup e Serre Chevalier, e il Tour lo vinse Thevenet per la gioia dei francesi».
Poi, per un po’ almeno, al Tour di italiani se ne videro pochi.
«Per noi italiani il Giro era la corsa cui tenevamo di più. Al Tour, comunque, andavano Giovanni Battaglin (fu maglia a pois degli scalatori, ndr) e qualche velocista. Poi vennero gli anni di Bugno, Chiappucci e Cipollini per le volate».
Rispetto al Giro, che corsa è il Tour?
«Alla fine è più dura, perché fa più caldo, hai sempre l’incognita del vento e in Francia, con tutte le strade vallonate come le onde del mare, di pianura vera non ce n’è. Sei sempre a tutta».
Domani da Lille parte l’edizione 112 del Tour: ci dobbiamo attendere quello che tutti danno per scontato, vale a dire un duello tra Pogacar e Vingegaard?
«Sì. Speriamo che Vingegaard stia bene e sia all’altezza, sennò non ce n’è per nessuno e la corsa perde di interesse. C’è stato un primo saggio di sfida tra i due al Delfinato, e lo ha vinto Pogacar; tutte quelle cadute Vingegaard un po’ lo hanno segnato, speriamo ritrovi la condizione migliore e torni a essere quello del 2022 e 2023. Lo dico per il suo bene, ma anche per il bene della corsa».
Nessun altro?
«No, non vedo nessuno a quel livello. Simon Yates, che ha vinto il Giro, correrà al servizio del suo capitano Vingegaard, e il giovane messicano Isaac Del Toro, che è uno sveglio e al Giro ha fatto vedere grandi cose, non c’è».
Pogacar non si risparmia e corre sempre per vincere non lasciando neppure le briciole agli avversari: le ricorda in qualche modo Merckx in questo?
«Merckx correva in modo diverso, faceva tirare la squadra per chilometri e chilometri e poi attaccava. Pogacar sta lì e, quando decide che è il momento di andare, se ne va via al doppio degli altri. Basta vedere come ha vinto il Mondiale e le Classiche».
Nota dolente, gli italiani.
«Se il campionato italiano lo vince un ragazzo, bravissimo peraltro, ma che neanche ha una squadra, qualcosa vorrà dire, no? Detto questo, sono andati via in un gruppetto di sei o sette e dietro non si sono messi d’accordo per andarli a prendere: Covi poteva comunque vincere in volata, ma è partito troppo lungo. O era troppo sicuro di vincere o è stato ingenuo. Al Tour possiamo sperare che Jonathan Milan vinca in volata la prima tappa a Lille e prenda la maglia gialla».
Qualche nostro giovane che possa emergere?
«Al momento non ne vedo. L’ultimo campione che abbiamo avuto è Vincenzo Nibali, e siamo rimasti fermi lì».
Sarà battaglia sin dalla prima settimana?
«Vero che c’è la cronometro alla sesta tappa a Caen, ma non credo. Non conviene a nessuno, anche perché fa un caldo torrido».
A proposito di caldo, in Trentino ha fatto tempesta. Come stanno le sue vigne?
«Ho visto che è caduto qualche albero e ha fatto qualche danno in città. Qui per fortuna tutto bene, speriamo non grandini, perché non ci vuole proprio la grandine».
Torniamo, per chiudere, a quel Tour di cinquant’anni fa: che ricordo le è rimasto, Francesco?
«Un bellissimo ricordo. Pensi che proprio l’altro giorno è passato a trovarmi qui a casa mia un signore anziano che era a Charleroi quel giorno. Si ricordava tutto, anche della maglia gialla sbagliata. La sua famiglia lo ha portato qui apposta, è stato molto bello e toccante».
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