L'intervista
venerdì 27 Giugno, 2025
Tania Cagnotto: «Passare da 7 ore di allenamento a zero fu uno choc. Oggi sono diventata mental coach. Lo sport? Sia valorizzato di più a scuola»
di Lorenzo Fabiano
La campionessa di tuffi è entrata nella giunta del Coni nazionale: «Quando ho smesso sono affiorati gli acciacchi. Le mie figlie non hanno il privilegio di non sapere cosa ha fatto la mamma»

Oibò, età media dei candidati settantuno anni e nemmeno una donna in corsa alla presidenza del Coni in successione ai dodici anni dell’era firmata Giovanni Malagò: come minino sindacale, si era detto come l’Italia non fosse né un Paese per giovani né un Paese per donne. Poi, con l’elezione a presidente di Luciano Buonfiglio e la composizione della giunta, diciamo che ci si è posto rimedio: con l’ex schermitrice Diana Bianchedi nel ruolo vicepresidente (fedelissima di Giovanni Malagò, nel 2001 fu eletta, prima donna ed esponente più giovane di sempre, vicepresidente nell’esecutivo) in Giunta Nazionale siederanno, infatti, Tania Cagnotto e Laura Lunetta, rispettivamente tuffi e danza sportiva, entrambe elette in rappresentanza delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate. Oltre a loro, si aggiungono Elisabet Spina, calcio, in quota tecnici e Valentina Rodini, canottaggio, per gli atleti. «È un bel segnale», commenta soddisfatta Tania Cagnotto, eletta con 28 voti. Per la campionessa bolzanina di tuffi, già vicepresidente della Federazione Italiana Nuoto, si aprono così le porte d’ingresso nelle stanze del governo dello sport italiano.
Tania, il suo ingresso in giunta è una bella soddisfazione ma anche una bella responsabilità.
«Ne sono molto orgogliosa e felice. Il Coni è stato per tanti anni la mia famiglia e portarvi dentro da dirigente federale un’altra grande famiglia come la Federnuoto ha per me un gran valore. Ora spero di imparare un bel po’ di cose».
Oltre a imparane di nuove, vedrà che con la sua esperienza, prima di atleta e poi di dirigente, ne porterà lei stessa un bel po’ di cose.
«È una strada nuova e di sicuro avrò cose sia da imparare che da portare. Mettermi a disposizione per lo sport e per gli atleti è qualcosa che mi ha sempre affascinata, per questo ho accettato questo ruolo».
Di cosa ha bisogno lo sport italiano per crescere?
«Dobbiamo fare più sport nelle scuole e combinarlo meglio con lo studio. Lo sport bisognerebbe iniziare a praticarlo già dalle scuole elementari; non deve assolutamente essere un freno, non dobbiamo arrivare a fare una scelta tra sport e studio. In altri Paesi vanno a braccetto, dovremmo farlo anche noi. Quando un atleta termina la sua carriera, magari con un titolo di studio o una laurea, deve trovarsi nelle condizioni di poter fare altre cose. Avere un Piano B è essenziale, dà serenità alla tua vita».
Lei una figlia d’arte, suo papà Giorgio e sua mamma Carmen sono stati due campioni dei tuffi: quanto sono stati determinanti nel suo percorso?
«Moltissimo. Loro il percorso che ho fatto io l’avevano già fatto e sono stati un esempio per me. Li ringrazierò sempre per non avermi mai fatto pesare il fatto di essere stati due campioni. Quando ero piccolina non me lo hanno detto di essere stati due campioni, ed è stata una fortuna per me. Essere la figlia di Giorgio Cagnotto e Carmen Casteiner non mi è mai pesato, poi il nome me lo sono creata anch’io con la mia carriera. Con le mie figlie questo sarebbe oggi impossibile, il confronto con me sarebbe continuo ed è qualcosa che non va bene».
E allora, già che ci siamo, la buttiamo lì: possiamo avere una speranza che la saga dei tuffi della famiglia Cagnotto possa continuare?
«Difficile. Maya, la più grande, ha già deciso che non farà tuffi; Lisa è ancora troppo piccola. Purtroppo, loro non hanno il privilegio di non sapere cosa ha fatto la mamma».
Se lei non avesse fatto l’atleta, che avrebbe fatto nella sua vita?
«Chissà, difficile dire. Mi piacevano fisioterapia e psicologia, ho studiato e sono diventata mental coach. Ecco, forse proprio questo».
A ripensarci, il momento più bello della sua carriera?
«Sono due. Uno è l’oro mondiale del 2015 a Kazan quando battei le cinesi, l’altro le medaglie olimpiche a Rio nel 2016, raggiunte alla mia ultima olimpiade: dopo averci tanto provato e aver fatto due quarti posti a Londra quattro anni prima, sono state la mia ciliegina sulla torta».
Ha vissuto anche momenti difficili: come ne è uscita?
«Grazie alle persone che mi son state vicine e alla mia voglia di riscatto. Avevo la speranza che prima o poi il destino mi desse quello che mi aveva tolto».
Ognuno di noi nella vita cerca a suo modo di lasciare dei bei ricordi. Lei come vorrebbe essere ricordata?
«Come una persona umile e coi piedi per terra, un’atleta che coi suoi risultati ha fatto emozionare la gente. Oltre a questo, essermi saputa rialzare quando sono caduta, ed essere stata un’atleta longeva».
Vittorie e sconfitte: cosa le ha insegnato lo sport?
«Alla fine, i due quarti posti a Londra son stati un male necessario: da lì, infatti, è partita la mia rincorsa alle medaglie di Rio quattro anni dopo. Lo sport mi ha insegnato a non mollare alle prime difficoltà e a non cercare scorciatoie».
Che rapporto ha col suo corpo?
«Quando ho chiuso la mia carriera, ho smesso del tutto di fare sport. Non una grande idea, perché il mio fisico ne ha risentito e sono affiorati acciacchi: passare da sette ore di allenamenti al giorno a zero, è stato uno shock. Ho quarant’anni e due figlie, ma ho ripreso ad andare in palestra e mi diverto a giocare a tennis. Fare sport è importante per la nostra salute».
A una ragazza/o che sogna di fare quanto ha fatto lei, che direbbe?
«Le direi di fare sport non per diventare ricca o famosa. Deve essere una cosa che ti smuove da dentro, che ti rende felice, qualcosa per cui non vedi l’ora di andarti ad allenare. È importante avere un obiettivo, ma prima di tutto ti deve piacere ciò che fai. Poi, devi avere pazienza, perché i risultati non vengono subito: ci saranno delle difficoltà, ma è proprio lo sport che ti aiuta a superarle».
Tania, lei è una persona che si commuove?
«Certo».
E quando si è commossa per l’ultima volta?
«Poco fa, davanti alle mie figlie».
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