L'intervista

martedì 24 Giugno, 2025

Giovanni Impastato e la memoria (sempre attuale) di Peppino: «La mafia non è invincibile, ma negli ultimi anni è cresciuta. Oggi è parte della borghesia»

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Lo scrittore ricorda il contributo del fratello ucciso il 9 maggio 1978. «Dopo mezzo secolo il suo contributo resta intonso: il suo è un messaggio educativo per le nuove generazioni. La criminalità organizzata? Da Nord a Sud non c'è più differenza»

Pubblichiamo l’intervista realizzata dalle studentesse e dagli studenti della classe 4CSB delle Iti Buonarroti, nell’ambito del percorso «ilT in classe».

 

Quando parla di Peppino, Giovanni Impastato sceglie il tempo presente, mai il passato. Una scelta non casuale, che tiene in vita il ricordo e il sacrificio di un fratello ucciso dalla mafia ma che al tempo stesso racchiude un altro significato: l’attualità del messaggio del giornalista ammazzato a Cinisi, in Sicilia, il 9 maggio 1978. «Quello di Peppino è un messaggio educativo», ripete Giovanni Impastato. In mezzo secolo molto è cambiato ma la mafia, spiega lo scrittore e attivista, negli ultimi dieci anni si è riattivata. Lo ha fatto cambiando pelle. «Ora – spiega – si è inserita nel sistema ed è diventata borghesia mafiosa». Al sud come al nord. Ma, a chi mostra pessimismo, Impastato risponde con le parole di Falcone: «La mafia non è invincibile».
Impastato, sono trascorsi 47 anni dalla morte di Peppino e molto, da allora, è cambiato. Ma fino a quale punto?
«Se dopo mezzo secolo si parla ancora di Peppino una ragione c’è. E perché? Il suo messaggio non è solo un invito all’impegno civile e alla lotta alla mafia, è molto di più: è un messaggio educativo. Peppino ha infatti operato una grande rottura storica e culturale: non solo dentro al contesto e l’ambiente dove ha vissuto ma all’interno della sua e della nostra famiglia, di origine mafiosa. Dimostra che no, non è vero: i figli dei boss non imparano per forza a essere mafiosi. Non è nel Dna e, se si vuole, si può spezzare la catena. Ma c’è dell’altro. Peppino si è speso per la salvaguardia e la tutela della bellezza del territorio. Peppino ci spinge a dire, soprattutto ai giovani: abbiate la percezione del vostro territorio, attivatevi, lottate fino in fondo per salvaguardare la bellezza della vostra terra. Educare le persone è quindi centrale. Poi, altrettanto attuale, è l’impegno politico di Peppino che dal mondo cattolico, da ateo, ha mutuato la disobbedienza civile applicandola al suo pensiero. E la cultura che con il suo circolo è stata occasione di aggregazione giovanile. Peppino inizia e muore come giornalista, oggi avrebbe usato i social per amplificare – ma bene, in modo costruttivo – il suo messaggio. Lui attraverso la radio, del resto, ha capito una cosa: l’ironia, il suo modo di sbeffeggiare la mafia, li ha messi in difficoltà».
E come sta la mafia oggi?
«Parlo per Cosa Nostra: è stata messa in difficoltà, soprattutto dopo che Totò Riina è andato allo scontro con le istituzioni. La mafia non può essere e non è un anti-Stato. Ora però ha ripreso, e anche bene, la sua attività cambiando strategia. Non è più appariscente, non osteggia ciò che ha, non ha la coppola. Oggi è una mafia sommersa, che si nasconde, ma che è riuscita a inserirsi all’interno del sistema politico e telematico. E riesce a fare grandi cose. Da dieci anni è pericolosa e possiamo definirla una borghesia mafiosa. Prima c’era un intreccio tra professionisti, imprenditori, politica: ora c’è un legame diretto. I componenti della cupola sono persone che fanno parte della stratificazione di una borghesia mafiosa. Ed ecco la pericolosità della mafia oggi».
Come si resiste nei territori ad alta densità mafiosa? Cosa racconta agli studenti?
«Questo ragionamento valeva qualche anno fa. Le cose sono cambiate fino al punto che oggi non c’è più differenza: che sia Milano o Torino, Palermo o Trento, non si fa più negazionismo, c’è la consapevolezza da parte della società civile che la mafia appartiene anche a loro, al nord. La mafia è un problema che non riguarda più le quattro regioni sfigate del sud. Se qualcuno nega è in malafede o è un imbecille. Quando faccio un incontro a Palermo o a Genova cambia poco».
Cosa risponde a chi dice che la mafia non si può sconfiggere?
«Cito le parole di Giovanni Falcone: dobbiamo avere la consapevolezza che la mafia non è invincibile. Un messaggio che dobbiamo lasciare soprattutto ai giovani perché se pensiamo sia invincibile allora ci rassegniamo. Ragazzi e ragazze, leggete il libro “Le cose di Cosa Nostra” un libro che raccoglie venti interviste fatte tra marzo e giugno 1991 a Giovanni Falcone dalla giornalista francese Marcelle Padovani. Lì Falcone parla di fenomeni umani: ogni storia, dice, ha un inizio e una fine. “Non sono marziani che vengono da altri pianeti, perché non li abbiamo sconfitti?”, gli chiesero. E Falcone rispose: “La mafia ha ucciso i migliori servitori dello Stato che lo Stato non ha potuto e saputo proteggere”. Qui lui spiega una cosa importante. La mafia non l’abbiamo sconfitta perché non è un anti-stato, ma è dentro lo Stato, nel cuore dello Stato per quanto riguarda la realizzazione delle opere pubbliche o la gestione del denaro. Sia chiaro: non voglio criminalizzare quella parte delle istituzioni che si impegna tantissimo per cambiare ma sono una minoranza. Quindi ragazzi abbiate fiducia: possiamo sconfiggere la mafia. Così come abbiamo sconfitto il brigantaggio, la Banda della Magliana, le Brigate Rosse».
Ha mai chiesto a Peppino di fermarsi?
«Sì, gliel’ho chiesto più volte. Perché Peppino rischiava tantissimo, soprattutto a quei tempi. Io non condividevo come portava avanti il suo impegno perché era molto rischioso. E allora avevo paura, per lui e per me. Ma lui era coraggioso e ci credeva tantissimo alla sconfitta della mafia e non ci sono riuscito a fermarlo. Dopo la morte di mio padre, mafioso ucciso pure lui, dissi: “Peppino ora devi stare attento, devi fermarti, non voglilo dire di abbandonare l’impegno ma sii cauto”. Perché in quanto mafioso nostro padre era una forma di protezione. Peppino si arrabbiò molto. Forse era preoccupato per qualche cosa, ma mai spaventato. Era forte della sua ideologia».
Crede che la memoria di suo fratello sia sempre stata rispettata?
«Nel caso di Peppino abbiamo lottato 47 anni per difendere la sua memoria e la sua figura che hanno cercato di infangare e diffamare dal primo momento. Abbiamo ottenuto i processi e per questo sappiamo come è stato ucciso. In questo lasciatemi ricordare la figura di mia madre: una donna coraggiosa che ai processi ha puntato il dito contro gli assassini di suo figlio. Se oggi c’è memoria p grazie a lei, che ha difeso Peppino in piena solitudine».