l'intervista
sabato 21 Giugno, 2025
Francesco Moser: «A 4 anni precipitai nel vuoto. Sono morto e risorto. Le trasfusioni? Allora si poteva»
di Redazione
Un racconto intimo e singolare del campione di ciclismo: «Saronni? Falso. Non gli ho mai regalato il mio vino. Se lo vuole, lo paga»
È morto e poi risorto. Un aneddoto che ci mancava nei tantissimi racconti di Francesco Moser, 74 anni appena compiuti, e campione indiscusso del ciclismo italiano.
All’età di 4 anni, racconta Moser in un’intervista al Corriere, è precipitato «nel vuoto dal balcone dell’asilo». E continua: «Giocavo sul terrazzo, un’asse di legno della ringhiera ha ceduto e ho fatto un volo di quattro metri. La maestra si è messa a piangere e ha portato gli altri bambini in aula a recitare il deprofundis. Nessuno è venuto a recuperarmi. Mi sono svegliato pieno di graffi, ho rimesso l’asse a posto e poi mi sono unito al deogratias per la resurrezione: la maestra gridava al miracolo. Il mio primo ricordo è quello di una caduta».
Moser ripercorre i momenti della sua infanzia, un racconto intimo, carico di emozione quello rilasciato al Corriere che ci permette di conoscere un Francesco bambino, fragile e diverso dall’uomo campione che abbiamo sempre visto.
In un passaggio ricorda il padre Ignazio che «morì d’infarto quando avevo 13 anni». Fu mamma Cecilia a prendere il comando della famiglia: «Visse a lungo, era il centro e il sostegno di tutto: donna di forza e fede incrollabili, consumava gli inginocchiatoi della parrocchia di Palù».
Una vita felice e fatta di sacrifici quella di Moser che già all’età di 5 anni aiutava a «ledrare i campi di patate e granturco, rincalzando la terra e togliendo le erbacce» in quella campagna che portò via lo zio Ezio, ex maglia rosa del Giro. «Già in pensione – ricorda Moser – era partito da solo in trattore per andare a defogliare le viti in quota. Deve essersi distratto e il trattore si è rovesciato e l’ha schiacciato».
Ma ci sono anche momenti di leggerezza nel racconto del campione che ritorna sulla prima vittoria a 17 anni a Cavareno, un paesino di cui, ammette, aveva dimenticato il nome ma che è riaffiorato dopo aver conosciuto la star dell’atletica Nadia Battocletti che è nata proprio lì. E la vittoria più bella al Giro d’Italia, «perché la costruisci giorno dopo giorno».
In ultima istanza, spinto dal giornalista, Moser torna, suo malgrado e a fatica, sull’eterno dissidio con Saronni la cui ossessione da quando ha smesso di correre, secondo Moser, è quella di punzecchiarmi». Due mesi fa, conclude Moser, ha accettato l’invito a una trasmissione Rai per parlare di ciclismo e di sicurezza assieme a Saronni convinto da un deputato che gli riferì che «Beppe era pronto a far la pace». Sembrava essere filato tutto liscio, «tutto bene in tv – spiega Moser – ma la settimana dopo apro il Corriere e ricomincia con la stessa storia: le spinte, il Giro del 1984, Conconi…». E ammette: «Non gli ho mai regalato una mia bottiglia di vino. Il vino costa fatica e denaro e si regala solo agli amici. Se lo vuole, lo paga»
E sulle trasfusioni di sangue? Moser è laconico: «Allora si poteva, punto»
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