La storia
domenica 13 Aprile, 2025
Morto Graziano Mesina, il ricordo dell’agente: «Così arrestammo il bandito sardo a Caldonazzo»
di Ubaldo Cordellini
Era il 1977, il brigadiere Manganiello: «Di fronte avevamo, senza saperlo, un criminale di levatura nazionale. Lo riconoscemmo solo quando gli cadde il parrucchino in questura. E fu una grande soddisfazione»

«Chiamarono dalla questura di Milano. Dicevano che in un appartamento Itea di Caldonazzo si nascondevano dei latitanti. Ma non ci dissero chi». Marcello Manganiello è in pensione ormai da molti anni, ma ricorda ancora benissimo quella mattinata del 16 marzo 1977 quando faceva parte del gruppo di poliziotti guidato dal capo della mobile di Trento Salvatore La Rocca che arrestò Graziano, Gratzianeddu, Mesina, allora primula rossa del banditismo sardo, morto sabato 13 aprile a 83 anni e già protagonista di una lunga serie di sequestri di persona. Era già stato protagonista di fughe rocambolesche e anche spericolate, come quella del 1966 dal carcere San Sebastiano a Sassari, quando scalò un muro alto 7 metri e poi si tuffò nel traffico della città sarda scappando a bordo di un taxi che lo portò a Ozieri. Ma quella mattina al dottor La Rocca nessuno disse che nell’appartamento sospetto di Caldonazzo ci potesse essere il bandito noto per le sue evasioni e i suoi sequestri. Manganiello, che all’epoca era brigadiere ricorda così la catena di coincidenze che portano all’arresto di Mesina senza spargimenti di sangue: «Andammo a Caldonazzo a controllare. Eravamo una decina, anche tanti per Trento, ma di certo non troppi. Soprattutto se si pensa che di fronte avevamo, senza saperlo, un bandito di levatura nazionale. La casa era intestata a una donna del posto, la compagna di Mario Pais, anche lui con una sfilza di precedenti notevole. Circondammo l’appartamento al piano terra senza sapere che eravamo stati fortunati. Poi abbiamo scoperto che Mesina era stato avvertito di essere nel mirino. Tanto che aveva passato la notte in alcune baracche sul lago. Poi, credendo di essere al sicuro perché di solito le perquisizioni si fanno all’alba, era tornato nella casa. Noi, però, siamo arrivati verso le nove e mezzo. Abbiamo bussato e ci hanno aperto, ma Mesina e Virgilio Floris si sono chiusi a chiave nella camera da letto. Abbiamo sentito scarrellare il caricatore di una pistola da dietro la porta. Abbiamo urlato di aprire che erano circondati. A quel punto, dopo attimi di tensione che mi sono sembrati secoli, ci hanno aperto. Noi non lo abbiamo riconosciuto. Sul letto c’erano una pistola e una bomba a mano. Poi aveva una valigia piena zeppa di armi».
Il bandito si dimostrò subito molto arrogante: «Ci disse che se si fosse reso conto che eravamo così pochi ci avrebbe fatti fuori lanciandoci addosso la bomba a mano. Noi lo ammanettammo e lo portammo in Questura, che allora era in pieno centro, in piazza Mostra».
Ma ancora i poliziotti della mobile di Trento non si erano resi conto del colpo che avevano fatto: «Non lo avevamo riconosciuto e abbiamo capito chi fosse il bandito solo quando gli cadde il parrucchino negli uffici della Questura. Fu una grande soddisfazione». Anche economica. I componenti della squadra infatti ricevettero un riconoscimento e un premio in denaro: «Ci diedero 100 mila lire e un encomio. Io avevo poco più di 30 anni e fu un grande giorno».
Nella foto di Gianni Zotta Graziano Mesina portato in manette a Trento dagli uomini della squadra mobile della questura
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