L'intervista
giovedì 11 Dicembre, 2025
Zamagni: «L’economia di mercato ha bisogno delle imprese cooperative. La sfida futura? Governare l’AI agentica»
di Emanuele Paccher
L'economista: «Attenzione all’assimilazione a imprese di capitali. Intelligenza artificiale, il movimento risponde al principio democratico»
Il modello cooperativo è essenziale per il nostro presente e per il nostro futuro. A sostenerlo con convinzione è Stefano Zamagni, economista (ha insegnato all’Università di Bologna e alla Bocconi), ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore ed ex presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali. Di recente Zamagni ha scritto la prefazione al volume di Ariel Guarco dal titolo «Principi cooperativi in azione alla luce delle sfide dell’agenda globale» (settembre 2025, Vitrend editore). Libro da cui prenderà il via l’incontro di questa sera dal titolo «Cooperazione. Sfide globali, risposte comuni». A organizzare è la Fondazione Valtes in collaborazione con la Fondazione Don Lorenzo Guetti; gli ospiti sono Stefano Zamagni e Maurizio Gardini – presidente di Confcooperative (online) –, moderati dal direttore de il T Simone Casalini. Sono inoltre previsti gli interventi di Michele Dorigatti, direttore della Fondazione Don Guetti, e di Stefano Modena, presidente della Fondazione Valtes. L’evento è a ingresso libero e gratuito e si terrà alle ore 20 all’auditorium dell’istituto Degasperi.
Professor Zamagni, lei ha scritto la prefazione al libro «Principi cooperativi in azione alla luce delle sfide dell’agenda globale» di Ariel Guarco, che verrà presentato nell’incontro di oggi a Borgo Valsugana. Di che volume si tratta?
«È un libro che fa riferimento all’esperienza cooperativa nei Paesi dell’America Latina e, dunque, a una realtà che è completamente diversa dalla nostra. Per cui il libro di Guarco ha il valore di una testimonianza, molto autorevole, che dice di quanto la forma di impresa cooperativa è riuscita in questi decenni ad alleviare le situazioni di povertà relativa in quel subcontinente americano. La realtà europea, in particolare italiana, è caratterizzata da uno stadio di evoluzione molto più avanzato, dove i problemi non sono soltanto quelli di aiutare a sopperire alle necessità fondamentali della popolazione più povera, ma anche di puntare a una modifica del modello di organizzazione sociale e dell’economia di mercato».
Il modello cooperativo è antitetico a quello capitalistico?
«Sul tema ci sono visioni diverse. Da una parte, infatti, ci sono coloro i quali sostengono che il modello cooperativo è alternativo o addirittura antagonista rispetto a quello capitalistico. Questa linea di pensiero è legata alla teoria marxiana: Marx era contrario al capitalismo e, quindi, tutto ciò che serviva per andare contro quest’ultimo era visto con favore. Un’altra linea di pensiero, nella quale mi riconosco anche io, vede il movimento cooperativo e le imprese cooperative come complementari rispetto a quelle capitalistiche. Una terza linea di pensiero, infine, è quella della tolleranza: si accettano i modelli cooperativi perché ritenuti innocui. Si tratta di una prospettiva avvilente che ho sempre avversato. In termini quantitativi, la seconda linea, quella della complementarietà, è oggi la teoria dominante, anche se permangono delle frange legate alla prima e alla terza tesi».
Andando più nel dettaglio, in cosa consiste la tesi della complementarietà?
«Significa che un’economia di mercato che vuole progredire salvaguardando i principi fondamentali ha bisogno, necessariamente, di imprese cooperative. Questa fra l’altro è la ragione che ha ispirato i padri costituenti nell’articolo 45 della Costituzione, dove si dice che la Repubblica italiana tutela e protegge la forma cooperativa di impresa per la sua valenza sociale».
Nella sua prefazione contrappone il bene comune al bene totale. Di cosa si tratta?
«Il fine dell’economia capitalistica è la massimizzazione del bene totale, mentre il fine che persegue l’economia cooperativa è la massimizzazione del bene comune. Con una metafora di tipo aritmetico, il bene totale è una somma, il bene comune è un prodotto. Nella somma, se qualche addendo resta annullato, la somma resta positiva; in un prodotto, anche se un solo fattore viene annullato, il prodotto resta azzerato. Zero per un milione fa zero, zero più un milione fa un milione».
Qual è l’interpretazione della metafora?
«Che nella logica del bene totale può accadere, e accade, che alcuni ottengono molto, mentre altri ottengono molto poco o addirittura vengono scartati. È così per le persone meno intelligenti, per gli ammalati, per i portatori di handicap. Nella logica del bene comune tutti devono essere inclusi, anche chi ha meno talento o ha un handicap fisico o mentale. È meglio far lavorare questa gente, la cui produttività è bassa, piuttosto che non farla lavorare per intervenire dopo con provvedimenti assistenzialistici. Quest’ultima è però la linea che si sta seguendo e che è il massimo della stupidità economica, perché se anche io ho una produttività molto bassa, è meglio che venga inserito in modo da ottenere qualche risultato invece che lasciarmi fuori e alla fine darmi mille euro. Questa è la differenza, non unica ma fondamentale, tra i due concetti. Quando si massimizza il Pil non si va poi a vedere a chi va. Nella logica del bene comune, invece, non si può separare il momento della produzione del reddito dal momento della sua distribuzione».
Le democrazie riescono a porgere un argine all’economia di mercato o è l’economia di mercato a prevalere e a piegare le democrazie?
«Questa domanda necessita di una precisazione, perché quello che non si sa è che l’economia di mercato è nata in Italia, in Toscana, a partire dal 1300 e da lì si è diffusa altrove; mentre l’economia di mercato capitalistica nasce in Inghilterra nel 1700. Quindi la prima economia di mercato era di tipo cooperativo, poi si è trasformata con l’avvento del capitalismo ed è diventata un’economia di mercato capitalistica. Quindi per rispondere alla domanda se è compatibile con l’economia di mercato la presenza di imprese cooperative bisogna dire: a quale economia di mercato si fa riferimento? Al mercato civile o al mercato capitalistico? Se tu vuoi un’economia di mercato capitalistica, allora puoi dire che le imprese cooperative hanno uno spazio limitato; se invece pensi all’altro modello di economia di mercato arrivi alla conclusione che la forma cooperativa deve espandersi, raggiungendo dimensioni adeguate alle caratteristiche del processo produttivo».
Come vede la realtà economica e sociale trentina, specialmente dal punto di vista cooperativo?
«L’economia trentina ha fatto progressi da gigante. Io sono arrivato in Trentino per la prima volta sessant’anni fa: mi ricordo che toccavo la miseria con le mani, specialmente nelle valli, dove vedevo bambini senza un filo di carne attorno alle ossa. Il Trentino nel giro di pochi decenni ha fatto miracoli e la ragione principale è la presenza della forma cooperativa. Tutto questo si porta dietro anche un rischio, ossia quello di dimenticarsi delle proprie radici. Il mio richiamo è di dire al movimento cooperativo di essere orgoglioso della propria storia, senza però rinunciare a portare avanti i valori fondativi di quel movimento. Ovviamente la forma oggi va adeguata ai tempi e deve essere diversa da quella del passato, ma non si può accettare la tesi dell’assimilazionismo, cioè di voler scimmiottare le imprese capitalistiche. Per questo il movimento cooperativo è complementare a quello capitalista».
Quali sono secondo lei le più grandi sfide che dovranno affrontare le cooperative nel prossimo futuro?
«La più grande sfida è quella di cui nessuno parla in Italia, ossia la gestione dell’intelligenza artificiale agentica. Tutti parlano dell’intelligenza artificiale generativa, ma quella è ormai superata e appartiene al passato. Oggi si sta andando verso l’AI agentica, che agisce in autonomia, senza ricevere l’input dalle persone, dagli addetti, dai tecnici. Questo tipo di intelligenza artificiale prende anche decisioni delicate. E qui si pone il problema: se è lei a prendere le decisioni da sola, come si controlla il principio di responsabilità? Finora la responsabilità era del programmatore, o di chi stava dietro la macchina e dava gli ordini, ma se poi non c’è più bisogno di questo e lei produce dei disastri, delle scelte che portano l’impresa al fallimento, chi ne risponde? Questa è la grande sfida dei prossimi anni. E il punto è che per questo tipo di problemi la forma di impresa cooperativa è superiore a quella capitalistica, perché nella forma cooperativa il principio democratico vigente è in grado di governare l’autonomia dell’intelligenza artificiale in una maniera che l’impresa capitalistica, avente una struttura verticale, non riesce a fare. Oggi siamo nella terza rivoluzione industriale, un periodo storico in cui l’impresa cooperativistica tornerà a diventare un riferimento essenziale».
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