Innovazione
mercoledì 28 Giugno, 2023
Vinapse, la startup (trentina) che fa da tutor e interroga gli studenti
di Gianfranco Piccoli
La startup trentina «apprende» i corsi universitari videoregistrandoli. Poi risponde a tutte le domande. Con le stesse parole dei professori

Un tutor che – letteralmente – conosce ogni singola parola pronunciata dal vostro docente universitario e risponde a qualsiasi dubbio sul corso che avete appena seguito. Un tutor che indica con estrema precisione ogni singola slide o passaggio pronunciato dal professore per ripassare un dettaglio poco chiaro. Un tutor, che a precisa richiesta, vi interroga sull’argomento sul quale state preparando l’esame formulando domande e risposte corrette utilizzando esclusivamente i contenuti trasmessi dal docente, senza attingere da altre fonti. E se le fonti dovessero essere altre, ve lo comunica.
L’unica cosa umana di questo «tutor sintetico», però, è solo chi l’ha creato. Il resto è figlio dell’intelligenza artificiale. Il futuro presente, dunque, è qui e si chiama Vinapse, una piattaforma che nel nome gioca con le parole «video» e «sinapsi», i collegamenti fra le cellule neuronali. Questo nuovo strumento, nato per supportare nello studio gli studenti universitari partendo dalle registrazioni video delle lezioni universitarie, è stato creato da una start-up trentina interamente autofinanziata, la Txc. La società ha come socio di maggioranza Tiziano Lattisi, 51 anni, matematico arcense («Ma mi sento a casa anche ad Atene») con frequenti divagazioni nell’informatica.
Nei giorni scorsi Vinapse è approdata alla Fiera internazionale e Festival sull’innovazione tecnologica e digitale di Rimini, da dove è partita la fase della commercializzazione del prodotto che è già stato testato su 2.200 lezioni, in buona parte dell’ateneo di Trento. Lattisi, in verità, per campare fa altro, ovvero analisi dei dati per l’approccio del rischio, applicato alla messa a terra di politiche che spaziano dall’ambiente alla sicurezza. Tra le sue consulenze, Ocse (l’Organizzazione per la cooperativa e lo sviluppo economico) piuttosto che Ernst&Young.
Lattisi, come nasce Vinapse?
«Dal 2013 al 2017 ho lavorato come consulente per l’Università di Trento nell’ambito della preparazione agli esami utilizzando le registrazioni video delle lezioni, questo in coordinamento con l’Isi (Ingegneria e Scienze dell’informazione ndr) e con il supporto del professor Marco Ronchetti, che ha lavorato una vita sull’apprendimento digitale».
Quali sono state le reazioni degli studenti?
«I feedback sono stati ottimi. Ma in questa fase sperimentale abbiamo anche notato alcuni comportamenti interessanti: ad esempio, i video delle lezioni venivano trasmessi dagli studenti ad alta velocità per il ripasso».
Questo cosa vi ha suggerito?
«Ci siamo fatti una domanda: cosa non va bene rispetto alla lezione tradizionale? E ci siamo dati la risposta: il metodo. Per ripassare un’ora di lezione, serviva un’ora di tempo. Ma quando studio prendo appunti, mi “muovo” tra gli argomenti trattati nel corso della lezione o del corso intero. In sostanza: lo studio non è lineare come una lezione. Non posso approcciarmi allo studio come se fossi su Netflix, perché studiare non è come guardare un film».
La conseguenza di questa osservazione?
«Nei primi anni abbiamo usato degli algoritmi per poter estrarre parti di video, individuare le slide, individuare i titoli e le parti “silenziose”».
Poi, però, è successo qualcosa che ha fatto decollare Vinapse.
«È arrivata l’intelligenza artificiale generativa (Chap Gpt la più nota), che ha avuto un effetto dirompente. Sono reti addestrate su un corpus di documenti ed hanno lo scopo principale di predire la parola successiva che ha più senso. Banalmente: se scrivo “il mattino ha l’oro…”, l’Ai risponderà “in bocca”. Se si fornisce un contesto e si fa una domanda, l’intelligenza artificiale generativa procede in modo credibile. Ci sono infinite strade di applicazione. Aggiungo: anche i testi che si trovano sul nostro sito sono stati scritti dalla Ai».
Tornando a Vinapse.
«Noi ci siamo trovati ad estratte informazioni dai corsi semplicemente registrandoli con un sistema cloud».
Come?
«La piattaforma “apprende” direttamente dai video. In generale il problema, soprattutto etico, dell’Ai generativa è che fornisce risposte sulla base di un corpus di documenti che contiene punti di vista parziali, principalmente occidentale e asiatico, ma dal quale l’Africa, ad esempio, è totalmente esclusa. Nel nostro caso, il problema non si pone: noi creiamo un recinto di contesto che è costituito da ciò che ha detto il docente».
E se uno formula a Vinapse una domanda che esce da questo «recinto»?
«Vinapse risponde che non ha trovato una risposta o se la trova al di fuori del “recinto” te lo comunica».
Quale massa di documenti ha archiviato Vinpase?
«Al momento ha elaborato 2.200 lezioni, soprattutto all’Università di Trento ma anche alla Lumsa».
Facile immaginare che Vinapse abbia anche altre applicazioni al di fuori dell’università.
«Le ha, ad esempio ha un grande potenziale nella formazione aziendale. L’interesse c’è».
L’intelligenza artificiale è uno dei grandi temi etici di questo momento.
«Etici e giuridici, mi sento di aggiungere. Fondamentalmente l’Ai fa una cosa stupida: scrive cose senza sapere cosa scrive, avendo una rete neurale artificiale, per altro del tutto simile a quella biologica. Il vero problema dell’intelligenza artificiale è il “bias”, il pregiudizio. L’Ai è addestrata sulla base della realtà, la realtà contiene pregiudizi che rischiano di autoalimentarsi».
Ad esempio?
«Ci possono essere pregiudizi di genere. Applicare l’Ai alla selezione del personale, potrebbe portare in modo subdolo a pagare meno le donne. Cito un altro caso, reale, avvenuto negli Stati Uniti, dove in una città un algoritmo gestiva le pattuglie della polizia, che venivano inviate solo nei quartieri ritenuti più a rischio: è evidente che se controllo solo certe zone, poi le stesse zone mi risultano più “pericolose” di quelle non controllate. Poi, come dicevo prima, dal corpus di documenti su cui si basa l’Ai generativa ci sono continenti esclusi, come l’Africa».
Ora c’è chi grida: «Fermiamoci!». Lo ritiene possibile?
«Francamente no. La tecnologia è come il doping: è sempre un po’ più avanti di quelli che controllano».
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