l'editoriale

giovedì 23 Ottobre, 2025

Sinner e la palla in tribuna

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Il mondo dello sport va a braccetto con il business curandosi più dell’Iban che del cuore. Forse è già tardi per recuperare i buoi che son scappati dalle stalle, ma è proprio il paradigma dello sport che andrebbe ripensato e riscritto per riportarlo nei binari del raziocinio e dell’empatia perduta

Tutto abbondantemente previsto (si era già intuito un anno fa alla finale di Malaga che quest’anno sarebbe arrivato il forfeit), ma sottaciuto finché si è potuto. Mancava giusto l’annuncio, ed è arrivato. Jannik Sinner rinuncia alla fase finale della Coppa Davis a Bologna. E puntualmente, inevitabile parte a rullo di tamburo lo scambio a bordate da fondo campo (meglio dire da fuori) tra chi giustifica la sua scelta e chi invece la stigmatizza. Era proprio quello che non avremmo voluto vedere ma che, in tempi in cui alla stessa velocità delle palline in top spin corrono anche le parole tuttologhe sul web, fa parte del gioco. «Non ha cuore», «pensa solo ai soldi», «un individualista senza spirito patriottico», «irrispettoso» arringa l’accusa con la grottesca appendice del Codacons che si spinge fino a chiedere che gli vengano tolte tutte le onorificenze; «fa bene, deve preservarsi per i grandi tornei», «il tennis è uno sport individuale», «la Davis è ormai un torneino» replica la difesa.

Detto che un processo ci pare quantomeno fuori luogo, le ragioni si possono trovare in ambo le posizioni. Posizioni di dritto e rovescio, ovviamente. Partiamo dal dritto: la finale di Davis si gioca per la prima volta in Italia, a Bologna a due passi da casa (che poi a Bologna, diciamo, Sinner mica ci va in Flixbus), in match da due set su tre sulla superficie prediletta di Sinner. Ci sono famiglie coi bambini che per vederlo giocare hanno fatto sacrifici e speso una bella cifra per accaparrarsi un biglietto. Lui avrebbe potuto tranquillamente saltare i match del primo turno e giocare i seguenti o persino solo quello in un’ipotetica, e probabile, finale. Insomma, non sarebbe stata proprio una faticaccia. Niente, a Bologna Sinner non ci va. Va però senza batter ciglio in Arabia a beccarsi sei milioni per un’esibizione che più che un torneo di tennis è un festival del kitch. È aritmetico il ragazzo, schematico come il suo tennis che talvolta pecca di fantasia (ma sta provando a variarlo). È matematica, non opinione, e non guarda in faccia nessuno, nemmeno chi lo ha difeso e protetto quando si è trovato nei guai. Uno strappo alla rigidità in uno slancio di sentimento umanista, però, diciamo che a volte non guasterebbe. La verità è che a Sinner si perdona ormai tutto, anche quei non forzati che non commette con la racchetta (ricordate quando non andò al ricevimento al Quirinale da Mattarella preferendo andarsene a sciare?). E qui gliene è scappato uno bello grosso. Matita rossa e taglio lineare che neanche Tremonti.

Tocca al rovescio: i tempi son cambiati, la Coppa Davis, stretta nel tostapane da un calendario sempre più fitto, con la sua nuova cervellotica formula ha perso il grande fascino del passato; il tennis è uno sport sempre più individuale, e individualista, con un calendario che non dà respiro e non si ferma in pratica quasi mai, se non un paio di settimane e fine anno; la stagione è logorante ed estenuante, e ci sta che ad un certo punto uno senta la necessità di staccare la spina per ricaricare le batterie fisiche e mentali. In tal senso, andrebbe ripensato proprio il calendario: renderlo più umano permetterebbe anche alla Coppa Davis di riappropriarsi del rango che merita. Ma ormai, va detto, è da tempo che il mondo dello sport va a braccetto con il business curandosi più dell’Iban che del cuore (del calcio che quest’estate si è inventato un’inutile baracconata come il Mondiale per Club e che un Milan-Como di campionato lo spedisce a giocare in Australia, è persino superfluo dire). Forse è già tardi per recuperare i buoi che son scappati dalle stalle, ma è proprio il paradigma dello sport che andrebbe ripensato e riscritto per riportarlo nei binari del raziocinio e dell’empatia perduta. Pretendere oggi una marcia indietro è però impresa quantomai donchisciottesca. Né torto né ragione, quindi. Il punto è un altro, semmai: è lo stato delle cose. Piaccia o no, la realtà è che Sinner, ragazzo delizioso peraltro, è uno dei tanti specchi del nostro tempo. Pallaccia in tribuna? E chi si ne frega, si va avanti e nulla cambia. Almeno, fino alla prossima puntata del reality. Game, set, match… e poi?