L'intervista
martedì 18 Novembre, 2025
Sara Piffer, dieci mesi fa la tragedia. Il padre Lorenzo: «In strada troppe distrazioni e troppa velocità. Deve cambiare la cultura»
di Benedetta Centin
La 19enne di Palù di Giovo travolta da un'auto a Mezzocorona. «Le strade restano un bollettino di guerra. Tanto affetto per Sara da tutta Italia»
Dietro ogni vittima della strada c’è una famiglia costretta a convivere quotidianamente con il dolore della perdita. Quello che nemmeno il tempo riesce a lenire. Lo sa bene Lorenzo Piffer, papà di Sara, la 19enne di Palù di Giovo, promessa del ciclismo, investita e uccisa da un’auto lo scorso 24 gennaio a Mezzocorona, durante uno dei suoi tanti allenamenti sull’amata due ruote. «Sono passati quasi dieci mesi e il dolore è più forte ora che all’inizio: sulle prime non ti rendi conto, pensi che sia partita per una trasferta e invece…». Invece prima o poi ci sbatti contro a quella terribile realtà. E fa male. Papà Lorenzo, mamma Marianna e i figli Gabriele, Christian e Loris la stanno affrontando con il sostegno di una straordinaria fede. E sono diventati un esempio per la comunità, per le tante famiglie che condividono lo stesso lutto. «Sulle strade è un bollettino di guerra, ed è così tutti i giorni: vittime ma anche feriti che rimangono menomati, costretti su una sedia a rotelle» le parole di papà Piffer.
Come scongiurarlo?
«Deve cambiare la cultura: ognuno ha la sua fretta ma basta un attimo e questo attimo costa caro. Ci vuole rispetto per la vita altrui. Tante volte è questione di distrazione e di eccesso di frenesia. Il fatto è che in questa società tutti devono correre. E poi il traffico è aumentato tantissimo e capita anche che le strade siano rimaste quelle di un tempo, senza che sia stata adeguata la larghezza delle carreggiate. Spesso poi si sceglie di viaggiare con la propria auto invece di usare i mezzi pubblici».
In fatto di velocità ci sono dossi, dissuasori, velox e zone 30 che dovrebbero dissuadere a pigiare il piede sull’acceleratore..
«Sì, è vero, sono deterrenti eppure di incidenti ce ne sono lo stesso. Questa società si deve chiedere se davvero deve continuare ad andare ai 100 all’ora e non può permettersi invece di arrivare qualche minuto dopo. Lo dico anche a me stesso, in quanto automobilista. È la cultura della frenesia. Aggiungo però che anche i pedoni devono prestare attenzione: vedo che c’è tanta distrazione tra cellulari e cuffiette. La strada è di tutti ma nel modo sbagliato».
Un appello alla sicurezza stradale, il suo, che diffonde anche durante gli incontri a cui partecipa con la moglie, vero?
«Sì, veniamo chiamati da tante parti, anche fuori il Trentino, e ogni volta ribadiamo che l’esistenza di tutti è sacra e che deve crescere il rispetto per la vita, altrimenti non migliorano le cose. Purtroppo poi quando ci si accorge di ciò è troppo tardi».
In questi dieci mesi si è fatto vivo con voi l’automobilista che ha travolto Sara e che avete perdonato fin da subito? Vi ha rivolto le sue scuse?
«No, nessuna scusa da parte di quell’uomo che non abbiamo più visto da allora. Se un giorno però dovessero arrivare le sue scuse le accetteremmo, senza però tornare sopra a quanto accaduto. Noi lo abbiamo detto fin dall’inizio che da parte nostra non c’è rancore: abbiamo evitato che entrasse quel veleno perdonando. Purtroppo è successo e andiamo avanti. Con dolore».
Un dolore che il passare del tempo non attenua, no?
«No, con il tempo è sempre più forte. Non nascondo che ogni mattina quando mi sveglio e la sera quando vado a dormire passo nella cameretta di Sara, la saluto e prego. La fede ci aiuta e dopo questo lutto è cresciuta. Quanto a Sara la sentiamo con noi, ci ha fatto sentire la sua presenza con segni che bisogna saper leggere. Ci fa stare sereni pur nel grande dolore…».
Un dolore che condividete con genitori che come voi sono rimasti orfani di figli, vittime di incidenti?
«È paradossale ma dopo la morte di Sara in tanti, dal Trentino ma anche dal Veneto e addirittura una mamma dall’Emilia, sono venuti da noi per capire come prendere al punto giusto il dolore. Noi non abbiamo la ricetta, ma siamo convinti che la vita sia un dono di cui non siamo padroni. Crediamo che ci sia dell’altro, che ci sia Dio e lui ci dà la forza per andare avanti. Agli altri trasmettiamo la nostra fede ed è uno scambio. Poi ognuno vive il dolore a modo suo e non bisogna giudicare».
Voi siete una famiglia molto unita anche nel dolore.
«Sì, noi siamo rimasti uniti. Quanto successo ci ha riunito ancora di più e non è scontato. Bisogna coltivarla questa unione, vivere con serenità anche nei momenti difficili, di sconforto».
E si continua a mantenere viva la memoria di Sara..
«C’è l’onda lunga di Sara: le gare sportive a lei intitolate, poi il centro polifunzionale nel Bolognese, le commemorazioni, le chiamate di noi genitori ad alcuni appuntamenti. Ora poi abbiamo aperto anche un sito che parla di lei e cioè www.sarapiffer.com. Perché ricordare Sara significa trasformare il dolore in speranza, custodire i suoi valori e renderli vivi ogni giorno. Insieme possiamo far sì che il suo esempio diventi luce per tanti giovani».