Lo studio
mercoledì 10 Dicembre, 2025
Riva del Garda, 49 anni dopo il terremoto di Santa Lucia: dall’ateneo un nuovo modello digitale per valutare il rischio sismico
di Redazione
L'obiettivo è contribuire al monitoraggio del patrimonio edilizio esistente, intervenire sulla mitigazione dei rischi e garantire la sicurezza della popolazione
Era l’alba del 13 dicembre 1976 quando Riva del Garda si svegliò di soprassalto. Alle 6.24 la terra tremò con un boato improvviso: una scossa di magnitudo 4.4 della scala Richter che non provocò vittime, ma lasciò dietro di sé danni pesanti. Scuole chiuse, chiese lesionate, edifici pubblici e abitazioni rese inagibili, centinaia di persone costrette a lasciare le proprie case. Quel sisma, passato alla storia come il “terremoto di Santa Lucia”, colpì non solo Riva ma tutto l’Alto Garda e la valle di Ledro, segnando in modo profondo la memoria collettiva.
A quasi cinquant’anni da quell’evento, l’Università di Trento ha completato uno studio innovativo che punta a migliorare la comprensione del rischio sismico proprio in quest’area. Attraverso la raccolta e l’analisi di una grande quantità di dati, i ricercatori hanno elaborato un modello digitale avanzato per valutare con maggior precisione la vulnerabilità del territorio e supportare la pianificazione urbana e le strategie di protezione civile.
Il progetto, finanziato dalla Provincia autonoma di Trento tramite il Dipartimento protezione civile, foreste e fauna, è partito da un’approfondita mappatura dei tre elementi che definiscono il rischio sismico: pericolosità, esposizione e vulnerabilità. Analizzare la pericolosità significa capire come il terreno risponde a un’eventuale scossa, quali litologie lo compongono, come si propaga l’onda sismica. Da sola, però, questa componente non basta. Per valutare il rischio occorre conoscere anche ciò che quel territorio ospita: persone, edifici strategici, scuole, ospedali. E infine la vulnerabilità, ovvero come sono costruiti gli edifici e quali debolezze strutturali presentano.
Dall’integrazione di questi tre aspetti nasce la possibilità di intervenire in modo mirato, mitigando gli effetti dei futuri terremoti e stimando con maggiore affidabilità il rischio complessivo. I risultati ottenuti per Riva del Garda confermano una sismicità “medio diffusa” nell’area dell’Alto Garda, ma individuano alcune zone più delicate: in particolare il centro storico e l’area a nord del Monte Brione, dove la risposta del terreno potrebbe amplificare le scosse.
È qui che il gruppo di ricerca ha approfondito il caso del Municipio di Riva, classificato come opera strategica. L’edificio è stato studiato in dettaglio, diventando un modello pilota per future analisi su altre strutture sensibili del territorio. Dallo studio emerge anche la necessità di aggiornare i piani di emergenza, rivedere le vie di fuga e mantenerle sgombre per garantire la continuità dei collegamenti, soprattutto verso l’ospedale.
Per calibrare il modello, il team ha ricostruito al computer la sequenza sismica del 1976. Incrociando dati satellitari, documenti d’archivio, algoritmi, tecniche di machine learning, informazioni catastali e registrazioni dell’epoca insieme alle analisi geologiche fornite dal Servizio geologico provinciale e dall’Ogs, è stato possibile riprodurre fedelmente i danni registrati in quel giorno di dicembre. Il modello è stato poi validato confrontandolo con un altro episodio recente, il terremoto del 2019 in Vallarsa.
Lo studio introduce due innovazioni centrali: l’integrazione di avanzate analisi di microzonazione sismica, che consentono di capire in modo estremamente fine come reagisce il terreno, e una gestione più rigorosa delle incertezze, elemento fondamentale per la quantificazione oggettiva del rischio. «I modelli nazionali non permettono di tenere conto in modo sistematico della risposta locale – spiega la ricercatrice Chiara Nardin, autrice principale –. Il nostro approccio riduce l’incertezza e aumenta l’accuratezza delle previsioni».
Il progetto ha preso forma due anni fa, quando Nardin ha vinto il premio Reluis, iniziando a collaborare con Marco Broccardo, coordinatore scientifico e docente al Dicam. Successivamente, grazie al coinvolgimento della Provincia e alle attività di microzonazione in corso, è stato finanziato un dottorato affidato a Federico Ugolini, poi ampliato con il contributo di Davide Noè Gorini, esperto di geotecnica.
Ora le indagini proseguono: nelle prossime settimane saranno completate le analisi su Rovereto e sulla Vallagarina. L’obiettivo finale è creare un sistema digitale unico, accessibile anche alla cittadinanza, per rendere trasparenti e condivisi i dati sul rischio sismico del territorio. Perché conoscere meglio il suolo su cui viviamo resta il primo passo per proteggere chi lo abita.