l'iniziativa
venerdì 6 Giugno, 2025
Referendum, ieri la festa a Trento per i cinque «sì». Marongiu (Cgil): «Chi parla di complessità dei quesiti vuol usare argomenti strumentali»
di Vincenzo Acerenza
L’evento promosso dalla CGIL ha costituito, per la comunità trentina, un’ultima occasione di informazione e confronto

Un momento di festa per richiamare un’ultima volta i cittadini alle urne e sostenere le ragioni del sì. O meglio dei 5 sì ad ognuno dei 5 quesiti referendari che avranno ad oggetto lavoro e cittadinanza.
Nonostante la pioggia, ieri sera il giardino Solženicyn (ex parco Santa Chiara) ha accolto un gran numero di cittadini per concludere tra i festeggiamenti la campagna elettorale per il referendum del 8 e 9 giugno. L’evento promosso dalla CGIL ha costituito, per la comunità trentina, un’ultima occasione di informazione e confronto sulle tematiche del referendum grazie alla presenza di addetti del sindacato e relatori esterni oltre che una serata di svago grazie alla musica della tribute band di Vasco Rossi «Emozione Vasco».
Un bilancio sull’andamento della campagna informativa è stato tracciato da Nicola Marongiu, coordinatore dell’area contrattazione e mercato del lavoro della Cgil nazionale. «Siamo molto speranzosi sull’andamento della consultazione perché in queste settimane abbiamo visto crescere la consapevolezza da parte dei cittadini. Si sa del referendum ed emerge anche un certo orientamento al voto. Certo, lo spazio informativo fino a queste ore è stato molto coperto dalla Cgil e dagli altri soggetti del comitato promotore. Siamo ottimisti e pensiamo che il quorum si possa raggiungere», ha dichiarato il coordinatore.
Marongiu si è poi concentrato sulle tematiche più dibattute relative agli argomenti del referendum: «I quesiti sono in realtà semplici, due riguardano i licenziamenti illegittimi, uno le causali di utilizzo dei contratti a termine e l’altro la relazione tra appalti e salute sicurezza. Chi parla di complessità vuol usare argomenti strumentali»
In particolare, si parte dall’ultimo quesito: «nel nostro ordinamento abbiamo una norma fondamentale che dice che la committente è sempre responsabile di quello che accade nelle imprese di appalto e subappalto. Generalmente questa norma è applicata per le retribuzioni ma prevede una deroga per quanto riguarda il tema sicurezza. In un paese con circa mille morti sul lavoro all’anno è necessario costruire un profilo di responsabilità anche per la committente». Sul tema della complessità dei quesiti è intervenuto l’avvocato Alberto Ghidoni, ospite dell’evento: «non sono d’accordo sul fatto che i quesiti siano troppo tecnici, se si dice questa cosa è perché si parla poco di diritto del lavoro, una legislazione relativa a chiunque la mattina si alzi e abbia la fortuna di avere un proprio lavoro. Dire che un quesito che parla di questo sia tecnico secondo me è retorico. Anche il pensiero che, con l’eventuale vittoria del Sì, si ritorni non all’articolo 18 ma a formulazioni precedenti è strumentale. Chiedendo l’abrogazione di uno dei nove decreti attuativi del Jobs Act si chiede di tornare alla disciplina della legge Fornero che a sua volta è intervenuta su più aspetti tra le conseguenze legate all’articolo 18. L’abrogazione ha lo scopo di ampliare le tutele reintegratorie qualora un giudice accetti l’illegittimità del recesso, tutele oggi limitate alle fattispecie discriminatorie. È questo l’obbiettivo». Presente all’evento anche Pavlo Polyev, membro del comitato trentino per il quinto quesito residente in Italia da venti anni ma ancora privo di cittadinanza. L’attivista, residente in Italia da ben venti anni ma ancora privo di cittadinanza, ha chiarito come, considerando le norme vigenti, sia sbagliato pensare che il referendum faciliti eccessivamente l’ottenimento della cittadinanza. «Attualmente gli ostacoli per ottenere la cittadinanza sono molteplici, se soltanto uno dei vari requisiti viene a mancare per un breve momento si riparte daccapo. Ad esempio, se si è andati per un periodo fuori dell’Italia a visitare la propria famiglia, al rientro, l’iter ricomincia da zero. Se manca un anno di reddito vale lo stesso. Con il referendum cambia solo il requisito sugli anni di residenza, gli altri rimangono intatti ma questo già permette di sburocratizzare un minimo la situazione».