cronaca

sabato 6 Settembre, 2025

Pronto soccorso, 20 minuti di paura. Gli infermieri: «Minacciati da un paziente con una siringa»

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È successo giovedì pomeriggio all'ospedale Santa Chiara di Trento. L’Apss smentisce: «Momenti concitati, l'uomo si è tolto la flebo. Non è un’aggressione»
Pronto Soccorso Trento

«Ha tenuto in scacco il pronto soccorso per quasi 20 minuti, minacciando medici e infermieri». L’ultima — ennesima — denuncia che riguarda un’aggressione a danni di personale sanitari è anche, come spesso succede, una storia di marginalità e di patologie difficili da «prendere in carico», come quelle psichiatriche. Con due diverse categorie vittime: chi ne soffre e chi cerca di fare il proprio lavoro in un contesto difficile come quello della medicina d’urgenza ed emergenza. Racconta questo quanto accaduto nel pomeriggio di giovedì all’ospedale Santa Chiara di Trento. La denuncia arriva dal sindacato Uil Fp, che rappresenta alcuni infermieri. E sarebbe stato proprio un infermiere presente in quel momento a raccontare nel dettaglio quanto accaduto. Ma c’è anche un’altra versione, che diverge in alcuni punti fondamentali, quella «ufficiale» dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari.

 

Il racconto raccolto dai sindacati entra nel dettaglio. Erano da poco passate le 16 quando è arrivato in ospedale un giovane (27 anni) paziente. Lamentava forti dolori addominali e al triage gli era stato dato il codice rosso. Era noto ai medici per delle patologie psichiatriche e aveva manifestato delle tendenze autolesioniste. La situazione è degenerata quando il personale medico gli ha chiesto di prendere alcuni farmaci, che peraltro gli sono prescritti. A questo punto, il ventisettenne ha dato in escandescenze, obbligando una grossa fetta del personale al lavoro a intervenire: sei infermieri, tre medici, due operatori della sorveglianza e un poliziotto del posto di polizia. Il paziente continuava a chiedere della psichiatra che lo ha in cura che, in quel momento, stava lavorando in un’altra struttura sanitaria: solo di lei si sarebbe fidato e solo alla sua presenza avrebbe accettato di prendere i farmaci. Ad allarmare i presenti il fatto che il ventisettenne, all’improvviso, sarebbe «riuscito a prendere una siringa piena di sangue» con cui avrebbe «minacciato il personale presente, agitando in seguito un palo della flebo».

 

Questo dettaglio, riportato da un testimone oculare («Il T» ha sentito la sua versione) è smentito però dall’Apss che parla di «momenti concitati» a seguito dei quali, il paziente, sottoposto a flebo, si sarebbe tolto l’ago, ma senza minacciare con questo i presenti. Insomma, non si potrebbe parlare di aggressione in senso stretto. L’episodio, il cui clou è durato, per l’appunto, una ventina di minuti, si è risolto del tutto solo attorno alle 19. L’episodio riaccende i riflettori sulla sicurezza degli ospedali, dopo la scelta di prevedere la sorveglianza armata all’ospedale di Rovereto.

 

«Non è più tollerabile – il commento del segretario di Uil Fpl, Giuseppe Varagone – che i lavoratori della sanità debbano affrontare episodi di tale gravità senza strumenti adeguati. Mancano ambienti sicuri per la gestione dei pazienti. Questi fatti sono inaccettabili e rappresentano un grave attacco alla dignità e alla sicurezza di chi lavora con dedizione per garantire cure e assistenza. La crescente frequenza di episodi di violenza negli ambienti di cura genera paura e insicurezza tra gli operatori sanitari, e non può essere tollerata. Servono misure concrete, rafforzando la vigilanza e applicando pienamente le normative contro le aggressioni al personale sanitario».