Il retroscena

domenica 16 Novembre, 2025

Politica: il caso Barone e la crisi tra Lega e Fratelli d’Italia che arriva in Regione

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Se Barone non sarà in Tsm a rischio la staffetta Kompatscher-Fugatti alla presidenza. FdI prepara la battaglia in Consiglio regionale, dove i suoi quattro voti sono decisivi per bilancio, nuova giunta e presidenza a Fugatti.

La strategia di Fratelli d’Italia sembra essere questa: spostare il campo di battaglia dalla dimensione provinciale a quella regionale, dove i meloniani hanno quattro voti in Consiglio, indispensabili alla maggioranza di centrodestra. Per approvare il bilancio, ma soprattutto per nominare la nuova giunta e il nuovo presidente che, in ossequio alla prassi della «staffetta», tra sei mesi dovrebbe essere il governatore trentino Maurizio Fugatti, che succede a metà legislatura all’omologo altoatesino Arno Kompatscher.
Salvate il soldato Barone
Le manovre bellicose sono tutte volte alla salvezza del «soldato Barone», Francesco Barone, esponente di punta di FdI e vicinissimo all’assessora Francesca Gerosa, che rischia di perdere per sempre la presidenza di Trentino School of Management dopo che l’intero Cda si è dimesso. Fugatti sembra intenzionato a non rinnovargli la fiducia, immaginando anche di risolvere il problema nominando un amministratore unico al posto del consiglio di amministrazione. Si deciderà lunedì, in giunta, ma è prevedibile che, se Barone non sarà riconfermato, Gerosa voterà contro la delibera. Uno strappo non da poco, politicamente profondo.
Biada l’incursore
Dopo la «riduzione» di Gerosa a vicepresidente ad assessora semplice, il benservito a Barone sarebbe il secondo schiaffo per Fratelli d’Italia. Partito che però a Trento non ha più la forza dei numeri, non è più determinante per la tenuta della maggioranza. Meglio spostare il campo di battaglia a livello regionale, dove lì si che i meloniani possono fare la differenza. Senza i loro voto — tra trentini e altoatesini sono in quattro — la maggioranza non sta in piedi. E un assaggio di quello che potrà succedere l’ha messo in tavola giovedì scorso il consigliere Daniele Biada. In Commissione, nel mentre si discuteva del bilancio regionale, ha spiegato come il differente trattamento dei Comuni trentini da quelli altoatesini non sia più gradito. Ha affermato che «in maggioranza si era detto di omogeneizzare i trattamenti economici e il numero di assessori», ma nella manovra sono previste indennità solo per gli eletti a Bolzano e aumenti dei posti in giunta solo in Alto Adige. Biada ha lamentato «il mancato coinvolgimento di Fratelli d’Italia nelle decisioni» e ha osservato come l’assessora Giulia Zanotelli (Lega) non fosse interessata alle sue argomentazioni. «Se non le interessa quello che dico non le importerà se non voto il bilancio», avrebbe detto ai colleghi commissari. Ha dunque annunciato l’astensione, per poi decidere all’ultimo di lasciare la seduta non partecipando al voto. Se si fosse astenuto la manovra non sarebbe passata. Perché, appunto, i voti di Fratelli d’Italia a livello di Consiglio regionale sono indispensabili. Questa, dunque, è una prova generale, una piccola incursione che ha generato preoccupazione. Ora potrebbe esserci l’escalation.
Effetto deterrente
L’escalation prevede un suo acme. Tra sei mesi, quando si dovrà cambiare la giunta regionale e, soprattutto, il presidente. A metà legislatura, questa è la prassi della «staffetta» si alternano il governatore altoatesino e quello trentino. Toccherebbe a Maurizio Fugatti, che deve trovare i voti in Aula. E i voti li devono trovare uno a uno gli assessori da lui proposti. Ed è proprio qui che potrebbero mancare i voti dei consiglieri di Fratelli d’Italia. «Se non c’è Barone — dicono arrabbiati i vertici meloniani — il punto di caduta è questo. Ma non per Barone, per il partito che non può subire un’altra umiliazione». Ora, come si sa, nell’arte della guerra, come in politica, ha un posto rilevante la tattica, e in questa è compresa la deterrenza. Se tu farai così, io risponderà così, nella speranza che non sia fatta la prima mossa. Il partito di Giorgia Meloni spera infatti che questa «minaccia» possa convincere Fugatti a non escludere Barone, senza dover arrivare alle estreme conseguenze: sarebbero davvero il punto di non ritorno. A metà legislatura, a due anni e mezzo dalle prossime elezioni provinciali.