L'intervista
domenica 1 Giugno, 2025
Parla lo storico Hans Heiss: «Le polemiche su Sinner e Zeller? Rigurgiti nazionalisti. Le minoranze sono avversate»
di Paolo Morando
L'ex esponente dei Verdi: «Con il vento di destra che spira, l’opinione pubblica è fortemente avversa alle minoranze. Pazienza, ormai siamo abituati»

Lo storico sudtirolese Hans Heiss, con un passato da consigliere provinciale dei Verdi, guarda con notevole disincanto alle ricorrenti polemiche che riguardano la sua terra. Lo dimostra questa intervista, in cui più volte ripete come ciò che nasce come provvisorio anche qui diventa immediatamente definitivo. Una lezione tutta italiana che i sudtirolesi, dice, hanno fatto propria.
Professor Heiss, partiamo dalla proporzionale nel pubblico impiego. Vige dal 1976, sono quasi cinquant’anni: serve ancora?
«Ha avuto un effetto storico necessario, ma oggi se ne vedono anche i limiti».
Sono maggiori i meriti che ha avuto o le distorsioni che ha provocato?
«È servita a riparare i torti avvenuti sotto il fascismo e lo Stato centrale nell’impiego pubblico, a livello sia statale sia regionale, perché la Provincia fino agli anni Settanta era un attore poco presente. La percentuale di italiani nell’impiego pubblico era davvero predominante, l’80-90 per cento. La proporzionale ha avuto sicuramente un effetto riparatorio, ma già quando venne istituita era previsto che dovesse durare fino al 2002, per raggiungere un’adeguata rappresentanza dei gruppi linguistici nel settore pubblico. E più meno questo è avvenuto, a parte alcuni comparti statali dove tuttora c’è predominanza di lingua italiana, ad esempio nella polizia».
Però l’applicazione della proporzionale è proseguita anche dopo il 2002.
«Sì, d’altra parte è uno dei cavalli di battaglia della Svp. Ma l’effetto è stato sempre più vanificato: da una parte la rappresentanza proporzionale quasi raggiunta, dall’altra il principio della proporzionale contro quello della qualifica. Spesso un candidato di lingua italiana meglio preparato non poteva prendere il posto riservato al gruppo tedesco. Il conflitto tra qualifica e posto spettante ai vari gruppi è sempre stato molto sentito».
Specie in ambito sanitario.
«Esattamente. Medici qualificati che provengono dall’Italia spesso trovano difficoltà, mentre la sanità ha bisogno urgente di professionisti preparati. E così si passa a soluzioni di avventura: eccezioni, strappi alle regole provvisori. Ma si sa che le cose provvisorie poi resistono a lungo. Anzi, non c’è niente di più duraturo».
Un classico italiano.
«Ma anche in Sudtirolo. Viviamo spesso di situazioni provvisorie. E così passiamo per soluzioni meditate, fino ai “gettonisti” che vengono da altre province, lautamente pagati, ma che non rientrano nel sistema proporzionale».
Sarebbe il caso di iniziare a ripensare questa applicazione della proporzionale?
«Andrebbe ripensata lasciando intatta la struttura di fondo: dicendo cioè che la proporzionale è un principio sacrosanto, che una minoranza ha bisogno di essere rappresentata nell’amministrazione pubblica. Però ci vorrebbero altri criteri, da studiare attentamente. Ma sappiamo che è una nota dolente per il partito di maggioranza, pertanto rimarrà così, siamo ormai abituati a soluzioni di fortuna. E questo è un peccato. C’è anche la crescente mancanza di manodopera, più o meno specializzata: non si trovano le persone nel sociale, nella sanità, nei servizi pubblici. La proporzionale è un limite. Si dovrebbe poter attingere a persone qualificate, che però non possono essere assunte».
La separatezza tra i gruppi linguistici persiste, benché in misura minore rispetto al passato. Quanto ha influito la proporzionale? Oppure ritiene che abbia agito in maniera opposta?
«Dopo un periodo di conflittualità negli anni ’70 e ’80, la proporzionale ha avuto anche un effetto pacificatore. Ha fatto sì che nel settore pubblico collaborassero persone di diversa estrazione linguistica. Se in una unità amministrativa persone di lingua tedesca stanno accanto ad altre di lingua italiana o ladina, e hanno contatti costanti, vanno assieme a prendere un caffè, chiacchierano anche di problemi personali, allora c’è un effetto congiunto di collaborazione naturale che in altri settori non c’è. Poi ci sono effetti contraddittori: la proporzionale comporta delle rigidità. Ma è anche, forse stranamente, una forma di collante tra i gruppi. Anch’io sono stato tanti anni nel settore pubblico, all’Archivio provinciale: avevamo persone di estrazione accademica di lingua tedesca, un fotografo italiano, la restauratrice pure, uscieri tedeschi contadini delle vallate, la ragioniera di lingua italiana… era un momento di unione. Non è un elemento da sottovalutare».
E oggi, con l’immigrazione? Parlare solo di italiani, tedeschi e ladini ha poco senso.
«È vero. Anche nelle recenti elezioni comunali, tra i candidati tedeschi nelle liste Svp, c’erano pakistani e immigrati di altre estrazioni, che però dovevano dichiararsi appartenenti a uno dei tre gruppi linguistici per poter partecipare. Un’assurdità. Ma questo significa che c’è anche meno tensione, che la conflittualità tra i gruppi è molto relativizzata».
Anni fa, quando per prima volta la destra vinse alle comunali di Bolzano con Benussi, le reazioni furono molto maggiori rispetto ad oggi con Corrarati. Anche questo può essere letto come un sintomo di relativa pacificazione?
«Anche a molti elettori di lingua tedesca Corrarati appare una persona per bene: lo si conosce da tempo. Dietro agli occhiali c’è una persona che parla bene il tedesco. Il pragmatismo è un forte elemento, per fortuna. Negli anni Settanta tra italiani e tedeschi era un continuo muro contro muro: oggi non è più così. Gli italiani sanno come funziona la mentalità dei tedeschi e viceversa».
Chi forse non lo ha ancora capito bene è chi assiste da fuori provincia a tutto questo: un esempio sono le critiche di Corrado Augias a Jannik Sinner, che tanto hanno fatto discutere.
«E puntuale riecco la vampata di nazionalismi contrapposti. Si dovrebbe invece riconoscere che il tricolore ha costituito anche un elemento a favore delle minoranze: la Costituzione le tutela e il tricolore significa anche questo. Ma a livello nazionale, specie con il vento di destra che spira, l’opinione pubblica è fortemente avversa alle minoranze. Pazienza, ormai siamo abituati. Ricordo nel 2011, quando Durnwalder con i suoi toni roboanti rifiutò di partecipare a Roma alle celebrazioni del 17 marzo per i 150 anni dell’Unità d’Italia: ci furono inevitabili polemiche, ma oggi chi le ricorda più?».
A proposito di polemiche: e la neo sindaca di Merano Zeller senza tricolore?
«Ha spiegato di averlo rifiutato per il fare paternalista di Del Medico, abilmente unito a un certo nazionalismo. Qui in Sudtirolo lo abbiamo capito bene, in Italia no. Ma ha subito rimediato andando a Roma in tv, a La7, con le proprie spiegazioni. Anche qui c’è stata un po’ di maretta, subito rientrata. Sono i tipici smottamenti della situazione sudtirolese che, come dicevo, è eternamente provvisoria e basata sui compromessi. Per tutti i gruppi linguistici».
Come un fiume carsico, si riparla spesso della possibilità un terzo Statuto. Che cosa ne pensa?
«La discussione è stata abbastanza presente fino a dieci anni fa, sull’onda della riforma del 2001. Kompatscher allora voleva portare una ventata di novità, ci fu la Convenzione del 2016-17. Poi tutto è finito nel dimenticatoio. E l’energia non si è più rivolta verso il terzo Statuto, che sarebbe auspicabile, ma oggi, con la maggioranza che abbiamo a Roma, è un progetto irrealistico La mini riforma appena approvata ha messo un po’ mano allo Statuto, ma un’ampia riforma non la potrò più vedere: ormai sono troppo anziano. Penso che andremo avanti anche in questo caso con compromessi provvisori. Kompatscher è stato abile a portare a casa modifiche, che per trent’anni non sono venute, ma la riforma del commercio e della gestione della fauna selvatica sono ben distanti da una vera riforma dello Statuto».
Se ne riparlerà mai?
«Chissà. Non sappiamo chi governerà nel 2028, e ormai non siamo più tanto lontani: dipende da chi sarà il futuro governatore, da quale maggioranza avrà, da come si evolverà la situazione italiana. Ci sono troppe incognite. E alla gente, agli elettori, ormai questo aspetto non interessa più. Questa è la vera questione. Oggi le preoccupazioni riguardano l’economia, il lavoro, la situazione internazionale. Tutto il resto è ormai passato in secondo piano».
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