L'intervista

giovedì 27 Luglio, 2023

Orsi, il Parco Adamello Brenta si muove: «Una rubrica per smontare le fake news»

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L'intento è quello di rispondere, con la scienza, alle false informazioni per cercare di affrontare un questione complessa che rischia d’essere eccessivamente polarizzata

Rispondere, con la scienza, alle false informazioni. Per cercare di affrontare un questione complessa che rischia d’essere eccessivamente polarizzata. Walter Ferrazza, presidente del Parco Naturale Adamello Brenta, affronta la questione grandi carnivori chiedendo «rispetto e corretta informazione» e aprendo al ridimensionamento del numero di orsi, ma anche informando le persone per evitarne gli incontri.

Presidente Ferrazza, il Parco come pensa di contrastare le informazioni distorte?
«Abbiamo deciso di creare una rubrica che “smaschera” almeno le fake news più pericolose, quelle indirizzate a esacerbare gli animi dell’opinione pubblica, e riportare fatti e situazioni per quello che sono e non per quello che persone mal informate o faziose vogliono far credere. Nel sito web del Parco ci sarà la rubrica “anti fakes” per contrastare le notizie manifestatamente false che smentiremo attraverso documenti scientifici, raccolti o realizzati dall’Ente nei vent’anni di esperienza sui grandi carnivori. Un contributo “laico” per dare informazioni corrette».

Cosa intende per notizie false?
«In questi mesi è stato detto di tutto, ma ora la quantità e raffinatezza delle fandonie è tale che abbiamo il dovere di pretendere una corretta informazione, solo così le persone possano farsi un’opinione al netto di vergognose falsità, che ostacolano finanche la ricerca di soluzioni utili alle nostre comunità».

Quale è la posizione del Parco sugli orsi?
«Secondo il Parco gli orsi problematici devono essere tempestivamente sottratti alla vita libera, con l’abbattimento o la captivazione. Da un punto di vista etico la decisione se abbatterli o catturarli trascende le indicazioni tecniche, tuttavia da un punto di vista pratico, l’abbattimento appare come la soluzione migliore per la sicurezza del personale addetto alle eventuali catture, per la rapidità dell’esecuzione rispetto ai tentativi di cattura, per i costi più bassi legati al mantenimento degli orsi in recinti che, peraltro, non sono in numero sufficiente a detenere tutti gli orsi problematici che si dovessero riscontrare sul territorio nei prossimi decenni.
Il Parco è altrettanto d’accordo nell’individuare un tetto massimo, socialmente accettabile, di orsi purché la scelta sia basata su criteri tecnici ed etici».

Un ridimensionamento di quello che è stato il progetto Life Ursus?
«A onore del vero, il progetto Life Ursus è finito nel 2004 e nasce da solide basi tecniche, confermate dalla bibliografia scientifica a disposizione. Non è nato per nascondere interessi economici che hanno portato ad “espropriare il territorio alle genti locali”. Il progetto di reintroduzione dell’orso bruno in Trentino è stato proposto da Giunta Esecutiva e Comitato di Gestione del Parco, due organi democratici rappresentativi delle comunità locali. Le finalità turistiche non furono neppure contemplate tra le motivazioni che spinsero Parco e Provincia di Trento a tutelare gli orsi, il loro arrivo non ha spostato, fino ad oggi, i flussi turistici né in una direzione né nell’altra».

A Carisolo il Progetto è stato definito un omicidio intenzionale.
«È molto grave che si sia arrivati ad accusare di omicidio chi ha collaborato al progetto. È un’affermazione infamante che dimentica il coinvolgimento democratico svolto nei processi decisionali. Life Ursus è stato il frutto di innumerevoli permessi, molti dei quali ottenuti in base all’opinione dei nostri referenti territoriali: sindaci, rappresentanti dei Comuni e di molte associazioni di categoria. Se qualche politico, anche a favore di elezione, ha cambiato opinione, questo non rende il Life Ursus un meschino progetto imprenditoriale. Prima del progetto sono stati realizzati numerosi incontri pubblici e numerosissimi articoli su giornali trentini, utili a presentare alla gente quanto si stava realizzando. Non dimentichiamo poi il parere del Comitato Progetto Orso, nel quale erano presenti i responsabili di tutte le categorie sociali interessate, con riunioni dal 1998 al 2004. La possibilità che un orso aggredisse una persona, anche con esiti gravi, era prevista dallo studio di fattibilità realizzato nel 1998 e fu posto alla base della richiesta di tutti i permessi ottenuti per liberare gli orsi».

La questione grandi carnivori è intoccabile dal suo punto di vista?
«No. A distanza di anni si devono portare critiche a quanto fatto, ma in un’ottica costruttiva e onesta, che non dimentica le scelte condivise. Dobbiamo ripensare rapidamente la gestione di orsi e lupi, senza fossilizzarsi su un progetto finito da quasi vent’anni. Dobbiamo discutere in modo pacato e costruttivo, ricercare soluzioni rapide e condivise che nell’immediato devono evitare che un tale evento tragico si ripeta. Falsità e proclami ci allontanano dalla soluzione».

Quale potrebbe essere la soluzione?
«Un programma tecnico-scientifico e socio-economico per individuare una soglia numerica di orsi che tenga conto delle esigenze sociopolitiche dell’uomo e di quelle biologiche della specie. Una sorta di patto sociale, delineato in collaborazione col Parco già nel 2011 dai professori Guido Tosi e Marco Apollonio su commissione PAT. L’applicazione di una capacità portante sociale, ovvero il numero massimo di orsi sostenibile, non può prescindere dalla possibilità di un prelievo finalizzato al controllo della crescita, modificando l’attuale quadro legale. Ma fin da subito dobbiamo creare una cultura dell’orso, tutti devono sapere cosa fare per non incontrarlo e cosa fare nel caso in cui lo si incontri. Mi aspetto che ciascuno faccia la propria parte: cacciatori, animalisti, ambientalisti, allevatori ecc., gli uni nel rispetto degli altri e lontano da notizie false e velenose, noi ci siamo, pronti a condividere soluzioni pensate e basate su contributi scientifici».