In Tribunale
martedì 23 Settembre, 2025
Mafia in Trentino, la richiesta della pm: «Si condanni Vozzo a sette anni»
di Benedetta Centin
In aula il secondo filone dell'inchiesta Perfido. Tra i testimoni anche l'ex presidente del consiglio provinciale, Walter Kaswalder

Sette anni di carcere, per aver fatto parte di un’associazione a delinquere di tipo mafioso. E per minacce, aggravate dal metodo mafioso. Senza più contestare l’ipotesi di scambio elettorale politico mafioso — riconosciuto che l’imputato non aveva partecipato all’accordo in occasione delle provinciali 2018 — escludendo anche la frode assicurativa, relativa alla denuncia di un incidente mai avvenuto, contestazione, quest’ultima, estinta per intervenuto risarcimento del danno. A tanto, a sette anni appunto, ammonta la pena sollecitata dalla pm Maria Colpani, nel corso della requisitoria di venerdì scorso, per Vincenzo Vozzo, tra gli imputati del procedimento «Perfido» sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto economico trentino. Quello del porfido, dell’oro rosso.
Il procedimento del 48enne originario della Locride, assieme a quello di Giovanni Alampi che approderà a breve in dibattimento, sono gli unici ancora da definire del troncone principale d’inchiesta che ha portato finora a condanne per oltre un secolo in totale. Settantasei anni dei quali confermati a febbraio dalla Corte d’Assise d’appello di Trento per otto imputati.
Kaswalder in aula
Lo scorso venerdì non è sfuggita la presenza in tribunale del consigliere provinciale Walter Kaswalder. Chiamato in udienza, sul banco dei testimoni, avrebbe confermato di conoscere Vozzo dal 2004, quando era ancora sindaco di Vigolo Vattaro, spiegando che l’imputato viveva in paese dove al tempo era conosciuto e stimato sul lavoro. Lo stesso Kaswalder, a quanto trapela, avrebbe confermato anche l’episodio in cui Vozzo gli aveva chiesto di mettersi in contatto con Domenico Morello perché aveva bisogno di parlargli e fino a quel momento non era riuscito a farsi rispondere al telefono da lui che al tempo (era il 2019) era presidente del Consiglio provinciale di Trento. Morello imprenditore del settore della logistica e dei trasporti, per chi non lo ricordasse, è già stato condannato a 10 anni, ritenuto dai giudici «promotore e organizzatore» della locale di ‘ndrangheta in Trentino.
«Partecipe all’associazione»
Ora, il processo a carico di Vozzo, celebrato a porte chiuse, è alle battute finali. La sentenza è infatti attesa per l’anno prossimo. C’è comunque da ricordare che la difesa del 48enne in precedenza aveva chiesto di patteggiare, sollecitando la riqualificazione della contestazione di associazione mafiosa in quella meno grave di di favoreggiamento. Ma la proposta era stata rigettata dalla Corte d’Assise e così l’imputato aveva chiesto e ottenuto di essere processato con rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Quello di cui ha tenuto conto la pm Colpani, partendo da una pena di oltre dieci anni e riconoscendo peraltro le circostanze attenuanti generiche. L’accusa, per Vozzo, è di aver fatto parte di una locale ‘ndrina che si era insediata in val di Cembra, di aver eseguito le direttive del capo cosca e di aver fornito supporto agli altri affiliati. Ancora, di essere stato fidato esecutore degli ordini di Demetrio Costantino (già condannato a 10 anni), con cui tra l’altro si occupava di ponteggi edili in vari comuni. E inoltre di aver assunto atteggiamenti mafiosi nei rapporti commerciali anche solo per riscuotere un credito, comunque per raggiungere gli scopi della presunta associazione. C’è poi la contestazione di minacce aggravate dal metodo mafioso, relativa a fatti che sarebbero avvenuti nel 2017 a Trento, quando al telefono, per conto delle aziende in cui avrebbe operato, Vozzo sarebbe arrivato a minacciare un debitore con espressioni come «vengo a casa e ti trovo» o «ci veniamo a prendere i soldi». Tutte accuse che, secondo l’avvocato Marco Stefenelli, non reggono alla prova dell’aula, tanto che venerdì scorso ha sollecitato l’assoluzione per il suo assistito, il quale ha voluto rendere dichiarazioni spontanee. L’ultima parola spetterà al tribunale.
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