L'opinione
martedì 10 Giugno, 2025
L’Italia contro la Norvegia, Sinner contro Alcaraz: due sconfitte molto diverse
di Lorenzo Fabiano
La sconfitta è fallimento solo quando non hai messo campo tutto quello che hai per evitarla, scrive Lorenzo Fabiano. Gli azzurri (e Figc) perseverano in questo errore

Eppure, c’è sconfitta e sconfitta, c’è modo e modo di perdere: nel weekend ne abbiamo avuto due esempi, la rovinosa caduta della Nazionale di calcio in Norvegia, e la battaglia che ha piegato Jannik Sinner nel catino del Roland Garros a Parigi dopo cinque ore e mezza di di tennismachia con Carlos Alcaraz. Come dire, la resa e l’onore delle armi. Due pianeti non allineati. Partiamo dalla prima, finita come peggio non si poteva in una tipica tragicommedia all’italiana. Una sconfitta umiliante, peraltro figlia di un sistema fallimentare che da tempo anziché aspirarla la polvere la spinge sotto i tappeti. L’Italia del calcio presenta bilanci in rosso da libri in tribunale di aziende decotte, offre uno spettacolo (rigorosamente a pagamento salato sulle pay tivù) assai mediocre, non è un Paese per giovani (coltiva poco il talento e ai ragazzi dà poca fiducia) e, alla faccia del sovranismo imperante, arruola in massa piedi stranieri relegando quelli italiani nelle retrovie.
È passato un anno da quando la Svizzera ci ha umiliati e spediti a casa dall’Europeo in Germania a pedate nel sedere. Allora ci aspettavamo un gesto, un gesto verticale, un gesto di responsabilità e di dignità; ma la parola dimissioni in Italia equivale a «Ho sbagliato» per Fonzie, e quel gesto a suo tempo, quando sarebbe stato quantomeno opportuno, non è arrivato. È arrivato adesso dopo le tre pappine che ci hanno rifilato i boscaioli norvegesi, bravi fin che si vuole ma mica son diventati la Spagna o l’Argentina, che rischiano di lasciarci a casa da un Mondiale per la terza volta di fila. Anzi no, a essere precisi non sono arrivate neanche stavolta perché Luciano Spalletti ci ha fatto sapere di essere stato esonerato in una conferenza stampa alla vigilia di un’altra partita che lo ha visto sedersi in panchina da cittì licenziato. Il tutto davanti all’impietrito presidente federale Gabriele Gravina che, seduto tra gli stupefatti giornalisti, da poche ore gli aveva comunicato la fine anticipata del rapporto di lavoro. Cose mai viste prima. È finita che Spalletti, almeno, le sue responsabilità se le è alla fine prese e torna a casa nella sua tenuta sulle colline toscane, mentre Gravina resta al suo posto, riconfermato pochi mesi fa dal Palazzo a maggioranza bulgara.
«Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso», diceva Ernesto Guevara. Perfetto, la sconfitta del nostro calcio va letta così. Nello sport si vince e si perde, come nella vita del resto, ma la sconfitta è fallimento solo quando non hai messo campo tutto quello che hai per evitarla. Cosa che l’Italia del calcio persevera diabolicamente a fare con la puntualità di un orologio al quarzo.
Chi ha invece fatto di tutto per evitarla la sconfitta, è stato Jannik Sinner che a Parigi ha lottato fino allo stremo delle forze tenendo per una domenica pomeriggio milioni di italiani inchiodati davanti alla tivù in un frullatore di emozioni. Più che una partita di tennis questa finale del Roland Garros, match che rimarrà nella storia, è stato un giro di cinque ore e mezza sulle montagne russe: Sinner, ma anche noi che stavamo male solo a vedere il volto sofferente di sua mamma Sigliende in tribuna, ricorderà a lungo quei tre match point nel quarto set almeno quanto Roger Federer, il più grande di tutti, ricorda ancora oggi i suoi due avuti e sprecati contro Novak Djokovic nella drammatica finale di Wimbledon del 2019.
È il tennis, «sport che l’ha inventato il diavolo» l’ha definito Adriana Panatta, sport fatto come la vita di tutti noi di dritti e rovesci e che il pareggio, anche quando sarebbe l’epilogo più giusto, non lo prevede. Vero, Sinner è uscito alla fine sconfitto dal campo di battaglia, ma da gigante: «Non bisogna continuare a piangere, succede. Torno a casa con la mia famiglia che è una famiglia molto semplice. Mio padre non era qui a vedere la partita perché doveva lavorare. Il successo non cambia tutto in una famiglia, adesso sono io che mi aspetto di prendere qualcosa da loro», ha detto. Magari non arriveremo a dire che ci son sconfitte che valgono più delle vittorie, ma non ci andiamo poi tanto lontani. Semmai, di sicuro ci sono sconfitte che al confronto di altre sconfitte valgono quanto vittorie, e in questo Sinner ha rifilato al calcio azzurro un triplice sei zero. Poi siccome, come diceva José Saramago, «la sconfitta non è definitiva», Jannik l’appuntamento ce lo dà già quest’estate tra poche settimane sull’erba reale di Wimbledon. Per l’Italia del calcio è invece difficile dire: forse sarebbe meglio chiedere a Godot.
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