la storia

giovedì 19 Giugno, 2025

L’imprenditrice Ala Azadkia: «A Teheran si muore sotto le bombe. Finora 585 i decessi non militari»

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Titolare di un’impresa a Mattarello è in contatto con amici e familiari: «La gente scappa: la guerra per la popolazione è uno choc. L’Iran non è il suo governo, e dopo Masha grandi cambiamenti»

Nata nel 1987 a Teheran e giunta in Italia nel 2014 con un visto per continuare gli studi ingegneristici e per seguire la sua passione per l’arrampicata, Ala Azadkia è oggi la titolare di una piccola ditta individuale dedita al commercio equosolidale di zafferano e di artigianato iraniano. Con la sua «Shirin Persia», con sede a Mattarello, Ala ha costruito un ponte tra l’Iran e l’Italia e trasmette così la cultura del suo Paese d’origine, fortemente intrisa del coraggio e della lotta femminile per la conquista di maggiori diritti e maggiori libertà.

Ala Azadkia, le questioni geopolitiche che riguardano l’Iran lasciano raramente spazio alla voce delle persone direttamente coinvolte, ma come sta vivendo la popolazione questo momento?
«Prima di tutto, voglio precisare una cosa importante: per me, l’Iran è quella terra meravigliosa insieme al suo popolo ospitale e simpatico, mentre la Repubblica Islamica dell’Iran è lo Stato che il popolo iraniano non vuole da tanti anni. La gente in Iran è proprio scioccata! Sta vivendo di nuovo ciò che aveva vissuto durante la guerra con l’Iraq. Fino a questo momento ci sono stati più di 585 morti non militari, fra cui bambini, tante case sono crollate e distrutte, anche i genitori anziani di una mia amica hanno perso la casa a causa di una bomba. Il primo giorno di guerra, come risposta automatica del cervello, tutti volevano negare ciò che stava per succedere, ma piano piano, con le esplosioni una dopo l’altra, la gente ha iniziato ad abbandonare Teheran. Stiamo parlando di 16 milioni di persone, tra cui anziani che abitano da soli e non riescono ad abbandonare la casa, e tanti altri che, per vari motivi, preferiscono rimanere. Alcuni semplicemente dicono: “Preferisco morire a casa mia”. Io sto impazzendo semplicemente vedendo il mio popolo così in difficoltà. Tanti mi chiedono: “I tuoi stanno bene?”. I miei e mio fratello con i suoi figli piccoli, abitano a Teheran, ma adesso ho 80 milioni di fratelli in difficoltà, in guerra, e quando vedo una mamma giovane disperata per me è come una sorella».
In particolare, come sta attraversando questo periodo la popolazione femminile?
«Secondo me, la guerra non conosce il genere, ma è anche vero che ci sono alcune differenze. Per esempio, le donne single che vivono da sole a Teheran stanno subendo molto stress perché molti vicini hanno abbandonato le case e loro si trovano sole. C’è sicuramente meno sicurezza per loro, adesso, in una città come Teheran. Le mamme, fingendo, devono sorridere davanti ai figli piccoli! In questi giorni girano le scene di “La vita è bella” su Instagram tra gli iraniani. Genitori che chiedono ad altri genitori di essere simpatici e creativi come Benigni!».
Come spiegherebbe quello che può apparire come un paradosso, che vede le donne con un elevato livello di alfabetizzazione e istruzione e con posizioni lavorative prestigiose e di rilievo, ma minori diritti a loro garantiti rispetto agli uomini?
«In Iran la maggior parte degli studenti universitari sono donne. Io ho lavorato presso 3 aziende e la mia direttrice è sempre stata una donna ingegnere. L’Iran è un Paese enorme, 5 volte più grande dell’Italia, con una varietà incredibile da vari punti di vista, sia culturale che sociale. Perciò è molto importante sapere di cosa stiamo parlando. La realtà femminile che si vive a Teheran, Shiraz o Isfahan è molto diversa rispetto a ciò che si vive nei paesini. Io collaboro con le donne dei piccoli paesini, quindi so di cosa sto parlando. Due volte all’anno andavo a trovarle e siamo sempre in contatto. Ciò che vedete voi da qua è una superficie, ma sotto, soprattutto dopo il movimento di Mahsa, c’è un fiume nascosto di consapevolezza. Parlo di donne che, senza rumore, ogni giorno combattono per la loro libertà e indipendenza. Ovviamente, dove interviene la legge della Repubblica Islamica, subiscono quel maschilismo, ma queste donne stanno agendo con molta intelligenza e, con questa intelligenza, stanno educando anche gli uomini che hanno vicino, come fratelli o mariti. Io non credo nei cambiamenti veloci; credo in ciò che viene dal basso verso l’alto, e grazie alle mie collaborazioni con queste donne sto vedendo come queste donne stanno cambiando e educando la società. Quindi sì, la legge crea quel contrasto, ma se cambi il cervello della società, chi può usare quella legge?! Questo è un processo molto lungo ma fortemente credo che solo il rispetto vero per le donne porta i risultati sostenibili, se no vediamo anche qua – dove la legge le protegge di più – le donne uccise dai maschi che non riescono a sentire un No. Io sono fatta così, non mi piace parlare duemila volte del problema, mi affascina la soluzione anche quando è molto difficile e richiede tanta pazienza e tempo».
A questo si lega un concetto che lei ha espresso in passato, ossia che «la libertà è una qualità interiore». Cosa significa?
«Sì, la libertà non è un prodotto di lusso che ti regala uno Stato o che puoi comprare. Secondo me, ognuno guadagna la propria libertà. La libertà è un concetto che si può espandere: tu puoi essere sempre più libera o meno libera rispetto a ieri. Conosco persone nelle celle della Repubblica Islamica che sono estremamente libere, e conosco persone nel mondo occidentale che hanno il secondo passaporto più forte del mondo, ma sono imprigionate dall’ego. È molto pericoloso quando ti senti libera perché sei nata in un luogo dove tutti dicono che sei libera; in questo modo smetti di cercare la libertà e di far crescere le ali della tua libertà. Puoi essere in prigione a causa del tuo titolo lavorativo, di una dipendenza emotiva, soprattutto di ignoranza, di ego, ma guardi il velo di una donna iraniana o afgana e ti senti libera».
La morte di Masha Hamini nel 2022 ha portato alla nascita di un movimento di resistenza contro ogni repressione e per la libertà di tutte e tutti. Crede abbia messo in moto un cambiamento profondo, strutturale e culturale?
«Anche prima erano in corso molti cambiamenti nella società, ma il movimento di Masha ha dato una velocità enorme e una profondità importante ad essi. Io vado in Iran per lavoro due volte all’anno e in questi anni rimango stupita dai cambiamenti positivi. Non sto parlando di cambiamenti da parte del governo, che è rimasto lo stesso asino di prima. Sto parlando della società. Seguo i sociologi che dicono che non riescono a stare al passo con questa velocità».