Crisi climatica

martedì 19 Marzo, 2024

Legambiente: «Mai così poca neve in seicento anni. Consumo di suolo in alta quota, Trentino maglia nera»

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Il report «Nevediversa» mette in risalto anche gli esempi di turismo sostenibile: dalla Paganella alla Val di Rabbi

Meno neve, più caldo: è questo il trend che interessa, con gradazioni diverse, tutte le montagne del Paese, dalle Alpi agli Appennini. Una tendenza che tra impianti chiusi o montagne imbiancate solo sui sottili nastri delle piste è ormai impossibile ignorare. Eppure è quello che molte politiche a tutti i livelli – dal nazionale al locale – continuano a fare, finanziando ampliamenti a comprensori senza futuro e impianti di innevamento artificiale, invece che forme di turismo sostenibile. È articolato il quadro che emerge dall’edizione 2024 di «Nevediversa», report annuale di Legambiente sullo stato del turismo invernale, che quest’anno dedica ampio spazio alle ripercussioni economiche e sociali legate alla crisi della neve, e un focus sulle prossime Olimpiadi invernali.
Mai così poca neve in seicento anni
La durata media del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese (34 giorni) nell’ultimo secolo, arrivando ai minimi degli ultimi seicento anni, scrivono nel report Luca Mercalli e Daniele Cat Berro della Società meteorologica italiana. La tendenza risulta particolarmente evidente in primavera, a quote inferiori comprese tra i 1.000 e i 2.000 metri e sul versante meridionale delle Alpi, quote sotto le quali diminuisce fortemente anche lo spessore. Rimane, tuttavia, la possibilità di annate particolarmente nevose (le ultime nel 2013-14 e 2020-21).
Sempre più impianti fermi
Con le temperature aumenta anche il numero degli impianti fermi. Quelli che quest’anno non hanno aperto per mancanza di neve sarebbero 177, 39 in più rispetto all’anno scorso. Quelli aperti «a singhiozzo» si attestano invece a 93, rispetto agli 84 di un anno fa. Undici impianti sono stati dismessi definitivamente, portando gli impianti abbandonati nel nostro Paese a quota 260. Spesso questi impianti restano in loco a deturpare il paesaggio: quelli smantellati o riutilizzati per altri scopi sarebbero solo 31, anche se il numero è praticamente raddoppiato rispetto al 2023. Non mancano gli aperti sì, ma per «accanimento terapeutico»: 214, più 33 in un solo anno. Tra questi uno dei «casi simbolo» risulta la località a bassissima quota di Bolbeno, recentemente rifinanziata dalla giunta provinciale.
Bacini artificiali e consumo di suolo
I bacini di innevamento artificiale non conoscono crisi, crescendo di 16 unità in un anno e portando il totale a 158. Il report denuncia anche un incremento del consumo di suolo alle alte quote, e in questo il Trentino è il territorio che fa peggio, con 88 ettari consumati in più rispetto al 2021.
Il costo della neve
Il ministero del Turismo ha stanziato 148 milioni di euro per ampliamenti, ammodernamenti e innevamento artificiale degli impianti di risalita, e si dovrebbe arrivare a 200 per il triennio 2023-2026, mentre all’ecoturismo ne sono arrivati appena 4, nonostante la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici proponga di puntare a diversificare e riconvertire l’industria dello sci.
Difficile, scrivono gli autori, recuperare informazioni dettagliate sull’effettiva entità dei finanziamenti pubblici, che cambiano forma e voce di bilancio a seconda dei territori. Il Trentino è additato come uno dei territori più generosi (nel 2023 il bilancio provinciale destinato al solo innevamento programmato è salito da 2 a 2,5 milioni, ma singole opere come la nuova cabinovia a Moena sfiorano gli 8 milioni).
Verso un turismo d’élite
Se la pandemia ha reso più diffusa la richiesta di una «fuga» dal caos urbano, tra glamping, rifugi trasformati in hotel e spa di alta quota – scrivono gli autori – puntare sul lusso è diventato una strategia esplicita, confermata lo scorso anno in Trentino dal presidente di Federalberghi Bernabò Bocca: «Non misureremo più i risultati in presenze ma in fatturati, puntando su una clientela ad alta capacità di spesa».
La «Top Ten» delle buone pratiche
In un quadro a tinte fosche, non mancano gli esempi che Legambiente considera precursori di una «neve diversa», in linea con i requisiti di sostenibilità e al passo con i cambiamenti climatici. Le buone pratiche, individuate con criteri simili a quelli delle più famose «Bandiere verdi», sono 73, dalla Val d’Aosta al Gennargentu. Si spazia tra realtà che hanno puntato su pratiche alternative allo sci su pista – scialpinismo consapevole, ciaspole, turismo culturale ed enogastronomico – accomunate dal fatto le comunità locali giocano un ruolo significativo.
Una delle realtà che meglio ha abbracciato il turismo dolce sarebbe la Valle Maira, in Piemonte, diventato un paradiso dell’outdoor, ma gli esempi non mancano su tutto l’arco Alpino, dalla Val di Funes alla Valcanale, in Friuli, passando per l’Abruzzo e la Calabria. Numerose le realtà trentine: nella Top Ten delle proposte più credibili figura il Paganella Future Lab, che esplora nuovi modelli di sviluppo turistico. Ma gli esempi virtuosi sono diffusi ovunque in Provincia, da Rabbi nel cuore del Parco dello Stelvio al «Progetto Grumes» che valorizza il genius loci in val di Cembra, passando per l’associazione «Vacanze in Baita» in Lagorai, la val dei Mocheni e il parco Paneveggio Pale di San Martino.