cultura
giovedì 25 Dicembre, 2025
Le sculture di Rabarama conquistano Rovereto: arte monumentale nel cuore della città
di Anna Maria Eccli
Le mega sculture dell’artista padovana Paola Epifani restano esposte nel centro storico fino a febbraio 2026, proponendo un viaggio tra estetica, antropologia e simbolismo
Di nome fa Paola Epifani ma è maggiormente conosciuta come Rabarama. Tornassero in vita Hjelmslev, Greimas, Eco, Barthes, i fondatori della semiologia generativa, ne andrebbero pazzi. I roveretani e i turisti in visita alla città, però, non sono da meno e Claudio Mattè, l’incredibile e appassionato artist promoter che con “Amors, Trans-Porto e Implosione” ha vivacizzato il centro con le mega sculture dell’artista padovana (le si può trovare fino al 2 febbraio 2026 in Largo Posta, Via Mazzini e Via Roma) sta stupendo un po’ tutti.
Caratterizzate dalla ricerca d’una estetica particolare (che qualcuno può giudicare meramente “decorativa” ma che in realtà è debitrice d’un discorso filosofico ben preciso) sta non solo incuriosendo ma interessando profondamente i passanti. Classe 1969, laureatasi all’Accademia delle Belle Arti di Verona nel 1991 l’artista crea nella terra cotta e poi nel bronzo statue che parlano di antropologia culturale, in cui il corpo è protagonista d’una evoluzione capace di sublimare la materia attraverso segni narrativi.
Plastico, estetico, non c’è dubbio, ma finalmente significante a livello diverso, simile a puzzle le cui tessere sono abitate da simboli informali, come formule alchemiche, o alfabetieri per neologismi mai visti. Sembra dire che l’era nuova dell’uomo, quella in cui non perderà più se stesso, sta nella rinuncia alla retorica del de-forme. Ci salveremo solo sublimando col pensiero la cattiveria d’una natura mostruosa; più cultura e meno natura sembrano dire le sculture di Rabarama.
È arte positivista? Sì, giustizia in un colpo solo gli animi dilaniati novecenteschi, e i ritornelli della mala, per cercare un’estetica della purezza formale in cui la metafora perfetta di un’umanità chiamata a ritrovarsi è l’abbraccio. Autistico, verso se stessi, o proteso verso un altro, poco importa in fondo, purchè sia sensato, poco ormonale, capace di disegnare biografie diverse, più evolute.
E comunque l’eleganza della forma ossessivamente ricercata dall’artista non guasta il graffio della provocazione implicita: l’umanità, se non è parlata, riflessa, campo di ponderazione, se non trasmette segni anche arcani, è solo un incidente probabilistico davanti a cui Rabarama si sforza invece di trovare un’anima.
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