La storia
giovedì 28 Agosto, 2025
La storia della Sloi ora diventa un romanzo. Tommaso Giagni riscopre l’ex fabbrica. «Molti trentini conoscono poco quanto accaduto»
di Carlo Martinelli
Lo scrittore ripercorre la vicenda dello stabilimento in un romanzo. Il protagonista è Cesare che indaga sulle cause della morte del papà, ex operaio

«L’incubo Sloi ha una data di inizio e da allora non è mai terminato, pur presentandosi sotto aspetti diversi». Lo scriveva Mauro Lando, indimenticabile cronista. Oggi la storia della Sloi – acronimo che sta per Società Lavorazioni Organiche Inorganiche – ritorna sotto un aspetto davvero diverso. È il filo conduttore di un romanzo che arriva in questi giorni nelle librerie e che un effetto certamente lo avrà, vista la qualità dell’autore e la notorietà della casa editrice: la vicenda della Sloi verrà conosciuta ben al di là dei confini trentini, dove è stata relegata (e da molti dimenticata) per decenni. D’altronde, proprio questa è stata la molla che ha spinto Tommaso Giagni, l’autore, alla scrittura – durata un paio d’anni, fatti anche di continue letture, colloqui, ricognizioni – de «La fabbrica e i ciliegi» (Ponte alle Grazie editore, 218 pagine, 16,50 euro). Ovvero: restituire, con i tratti del romanzo, una storia che lui ha scoperto una volta approdato nelle terre dolomitiche. «E dove, peraltro – aggiunge – ho avuto la netta impressione che molti trentini questa storia la conoscono a stento».
Tommaso Giagni è romano, compirà 40 anni tra poche settimane, a Trento è arrivato nel 2021 con la compagna, Laura Di Fabio, bibliotecaria alla Fbk: da nove mesi la loro vita è riempita dalla piccola Lucia. Ai lettori più attenti il suo nome dice qualcosa: è l’autore dell’inchiesta del settimanale «l’Espresso» che nel giugno di quello stesso anno denunciò le condizioni contrattuali di un nutrito gruppo di lavoratori immigrati in una azienda di Lavis che si dedica alla raccolta differenziata. Oggi, con legittimo orgoglio, può dire che «mi è capitata una delle poche occasioni nelle quali la scrittura aiuta a modificare lo stato presente delle cose». Infatti: quella situazione è stata sanata.
Certo, Tommaso Giagni dopo la collaborazione con «l’Espresso» ha continuato a scrivere sulle pagine culturali di «Avvenire» – recensisce titoli della letteratura straniera – e a raccontare di sport (lui, tifoso della Lazio che da quando è a Trento segue con piacere l’Aquila basket e, soprattutto, il calcio Trento) per «Ultimo Uomo». Ma è, prima di tutto, una delle migliori voci della giovane letteratura italiana. Ha iniziato nella redazione di «accattone» (con la a minuscola), una rivista romana dove scrivevano Nicola Lagioia, Michela Murgia, Elena Stancanelli e un giovanissimo, allora 18enne, Tommaso Giagni. «Le nostre erano rielaborazioni narrative di fatti di cronaca». Esattamente quello che ha fatto con «La fabbrica e i ciliegi». Approdo letterario di squisita fattura, tale da farci sottoscrivere quello che di lui hanno detto Emanuele Trevi («Vivida e insieme esatta, la prosa di Giagni ha il raro potere di farci immaginare il mondo che descrive») e Marcello Fois («Se leggerete Giagni vi sarà chiarissimo lo scarto che esiste tra scrivere e scrivere bene»). Lo aveva già dimostrato con i suoi precedenti romanzi, «L’estraneo» e «Prima di perderti» (entrambi con Einaudi), «I tuoni» (Ponte alle Grazie) e con la biografia «Afferrare un’ombra. Vita di Jim Thorpe» (minimum fax), lo conferma con il romanzo «trentino» appena sfornato.
Intendiamoci: nessuno dimentica – men che meno Giagni –quello che si è prodotto dalle nostre parti: «Incubo sulla città», l’inchiesta di Uct a pochi mesi dall’incendio del 14 luglio 1978 che per un soffio non trasformò Trento e dintorni in una Bhopal italiana o nella seconda Seveso; «La fabbrica degli invisibili», il film documentario di Katia Bernardi e Luca Bergamaschi; i lavori teatrali di Gigi Zoppello e Andrea Brunello.
Tommaso Giagni ha scelto la strada a lui congeniale del romanzo. Con un incipit come questo: «Vicino alla fabbrica SLOI, le macchine esposte fuori da una concessionaria, pulite ogni sera, avevano ogni mattina un dito di fuliggine. In una camera da letto un uomo e una donna parlavano distesi, lei era a pancia sotto perché non sapeva di essere incinta. Si accorse che lui aveva la bocca viola, gli tirò indietro le labbra: l’orlo delle gengive era nero. L’uomo si mise a ridere spaventato, non capiva. La donna restò seria, ma non capiva nemmeno lei».
L’uomo è un operaio della Sloi e in lui, dice lo scrittore, «ho sommato tante storie di chi in quella fabbrica aveva trovato un posto di lavoro e perso, spesso per sempre, la salute». Dall’incipit si dipanano ventidue capitoli e il fatto che ben 17 abbiano come titolo «Oggi» fa capire come Giagni sia riuscito a tessere una trama tutta contemporanea, dentro il Trentino di oggi, fotografato da un occhio curioso, attento ai particolari. Perché Cesare, il protagonista, ha cinquant’anni e vive a Roma, dov’è cresciuto. La morte della madre lo costringe a confrontarsi con il proprio passato. Scopre tracce di una verità che gli è stata taciuta: suo padre non è morto di leucemia ma è stato fra le vittime della fabbrica chimica di Trento che per decenni avvelenò i suoi operai con il piombo tetraetile e fu infine chiusa nel 1978. Torna allora sulle tracce del padre: all’ex fabbrica, oggi un rudere tossico mai bonificato, nei quartieri operai, negli archivi della città, all’ex manicomio di Pergine dove il padre venne rinchiuso, un destino comune a molti suoi compagni di lavoro. Ma siamo in un romanzo, tanto vero quanto ovviamente di invenzione. Cesare si ritrova coinvolto – in una Trento che va dal quartiere abitato a metà delle Albere a «Via del Villaggio satellite» a San Donà per passare alle valli vicine dove, forse, ci sono pure combattimenti clandestini di lotta con donne protagoniste – nella instabile relazione fra due trentenni, Marilù e Loris. Lei viene dal sud, è una donna alla deriva, cresciuta tra esperienze irrisolte e un’ostentata indipendenza. Lui, brillante accademico, è fuggito dalla valle d’origine ma è prigioniero di una rigidità che lo isola. Altro non si leggerà, qui, della trama. Salvo che ad un certo punto lo sguardo di uno dei protagonisti cade su un manifesto strappato. È quello del conosciutissimo slogan turistico. Il vento, o lo strappo beffardo di q ualcuno, fa sì che lo si legga in gran parte, ma non tutto: «spira, sei in Trentino». «Lo so – dice Giagni – poteva essere il titolo del romanzo. Ma sarebbe stato ingeneroso. Questa è una terra con tante luci e qualche zona d’ombra». Dove è successo, malgrado le denunce, che per decenni una fabbrica di veleni continuasse a produrre piombo tetraetile per la benzina delle nostre auto. Mentre, nei dintorni, i ciliegi fiorivano fuori stagione.