Val di Cembra
giovedì 10 Luglio, 2025
La scuola pubblica più antica del Trentino: i 400 anni delle elementari di Giovo finiscono in un libro
di Gabriella Brugnara
Nate nel 1639 grazie al lascito di un sacerdote: due insegnanti ora la raccontano

Ci sono storie che riaffiorano come fili nascosti nella trama del tempo, pronti a intrecciarsi di nuovo con il presente. Voci che tornano a farsi sentire nella comunità, aiutandola a riconoscersi, a ricordare. Tra tutte, quelle legate alla scuola hanno un significato speciale: perché la scuola non è solo un luogo di apprendimento, ma uno spazio vivo di relazioni, di crescita collettiva, di memoria condivisa.
È proprio da questo sguardo che nasce il volume «Giovo. La storia della scuola elementare e lo scorrere della vita nel XX secolo», edito dal Comune di Giovo e curato dagli insegnanti Ida Iachemet e Alceo Pellegrini. Dieci capitoli per raccontare, attraverso documenti, fotografie, testimonianze, il cuore pulsante di una comunità che ha sempre posto l’istruzione tra i suoi valori fondanti. Il volume sarà presentato stasera alle 20.30 al Teatro di Verla, alla presenza degli autori, con letture della Filodrammatica di Verla. Modera Viviana Brugnara.
Nata grazie a un lascito
Già nel 1639, grazie al «beneficio Mazzanti», Giovo fu uno dei primi comuni trentini a dotarsi di una scuola elementare gratuita. A renderlo possibile fu il lascito di don Giorgio Mazzanti, parroco del comune, che nel testamento affidò ai suoi esecutori il compito di mantenere un sacerdote – il «primissario». Tuttavia, considerata l’entità del lascito, l’Amministrazione comunale chiese all’esecutore testamentario di vincolare il primissario all’istituzione di una scuola elementare, aperta gratuitamente a tutti i bambini del comune per tre mesi l’anno, nell’attuale Piazza Mazzanti.
Un secolo e mezzo prima della legge scolastica voluta da Maria Teresa d’Austria, nel 1774, Giovo già offriva a bambine e bambini la possibilità di imparare a leggere, scrivere e far di conto. I curatori del libro osservano come la riforma scolastica di Maria Teresa – che mirava a «formare le teste» – sia stata, sotto certi aspetti, persino più rivoluzionaria della Rivoluzione francese, che le teste invece «le tagliava».
Trasformazioni del Novecento
Con il passaggio del Trentino al Regno d’Italia, nel 1918, la scuola si trasforma ancora. Le difficoltà non mancano, ed emergono dalle voci degli insegnanti: come quella della maestra Lupini, che nel 1928 annota le sfide quotidiane – bambini chiamati dai campi durante le lezioni, ritardi causati dalle commissioni familiari, finestre aperte da cui si chiedeva ai piccoli di andare a dar da mangiare alle mucche.
Eppure, nello stesso diario, Lupini racconta con entusiasmo l’arrivo della corrente elettrica e della campanella tanto desiderata, che finalmente avrebbe segnato l’orario scolastico per tutti. Scrive: «Mi trovo bene, mi portano gran rispetto e se questa frazione fosse un po’ più comoda, vorrei restare molti anni fra questa gente beata, tra la semplicità, il timor di Dio e le montagne». Parole che restituiscono il senso di una vocazione profonda, di un insegnamento sentito come missione, non come mestiere.
Con la riforma Gentile del 1923 cambia ancora il panorama. Le sedi scolastiche vengono ricavate da spazi di fortuna – case private, ex oratori – e si fa strada la politicizzazione dell’insegnamento. Nelle pagelle compaiono materie come «cultura fascista» e l’iscrizione al Partito Fascista diventa condizione necessaria per insegnare. Il libro prosegue nel dopoguerra, fino all’istituzione della scuola media obbligatoria nel ’62, e raggiunge il contemporaneo.
La memoria dei personaggi
Nelle pagine sono raccolte anche le vite di figure che hanno lasciato un’impronta forte nella memoria collettiva. Tra loro Carlo Brugnara, «un piccolo grande uomo», «’l sior Fortunato», considerato «il re del paese», Fortunato Rizzoli e Pio Egidio Brugnara, detto «Velada». Accanto a loro, molte donne, come Rosina Pellegrini e Maria Brugnara, nate nel 1925, che hanno cresciuto famiglie numerose e offerto ricordi preziosi del loro tempo. O come Maria Pellegrini Sebastiani, ostetrica comunale: rimasta vedova giovanissima, con quattro figli e uno in arrivo, venne sostenuta dalla comunità per formarsi a Innsbruck. Tornata con il diploma, diventò un punto di riferimento per le donne di Giovo. La sua storia racconta un’altra scuola: quella della cura, della solidarietà femminile, del coraggio silenzioso. Non mancano figure di insegnanti «storici», quali il maestro Bovolo e la maestra Agnese Tomasi, e altre scomparse precocemente alle quali è dedicato il libro, come Antonia Faccenda e Silvano Paolazzi, «il maestro Silvano», morto a 42 anni in un incidente stradale. Si raccontano anche momenti di festa e condivisione, tra cui un Carnevale a Ville, in cui – grazie a una colletta casa per casa – si riuscì a offrire ai bambini una pasta asciutta. Un lusso, in un tempo in cui la polenta era spesso l’unico piatto quotidiano.
Un libro che è molto più di una cronaca scolastica, perché restituisce l’anima di una comunità e la tenacia con cui si è difeso il diritto all’istruzione. E ci ricorda che la scuola è un luogo in cui si semina il futuro.
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