«Come possiamo crescere figli autonomi di questi tempi in cui è difficile lasciare libertà visto il mondo che ci circonda?». Questa la domanda con cui la psicologa Maria Rostagno ha esordito ieri pomeriggio in sala Kennedy. Mentre l’esperta dialogava con i genitori, al piano superiore dell’Urban center il fumettista del nostro giornale Fulber intratteneva i più piccoli. Partendo proprio dal tema della giornata organizzata in città da il T, Rostagno ha spiegato ai presenti come «autonomia significa lasciare ai propri figli la libertà di fare, con la sicurezza che avranno sempre un adulto di riferimento alle spalle». Non si tratta di un concetto astratto, bensì basato sulla scienza, in particolare sulla dopamina, il neurotrasmettitore del soddisfacimento. Far svolgere in autonomia ai nostri figli compiti sempre più difficili dà infatti loro soddisfazione e ne aumenta l’autostima in maniera crescente; se tuttavia l’adulto si sostituisce al bambino (le motivazioni sono le più disparate, come la paura o la mancanza di tempo), il bambino crederà di non essere capace.
«Così facendo – ha spiegato Rostagno – la dopamina viene prodotta dal cervello del bambino non perché il compito gli sta riuscendo, bensì perché a svolgerlo è l’adulto e quindi l’esito è positivo. Così facendo causiamo però un grave danno, pur non volendo: anche se non lo pensiamo, passiamo ai nostri figli il messaggio che non sono capaci di fare da sé».
Inevitabile, all’interno della riflessione portata avanti dalla psicologa, il passaggio sui social media. Il giudizio, anche in questo caso, non è stato di valore, bensì basato sulla scienza: i social agganciano i ragazzi perché favoriscono il rilascio della dopamina. In questo caso il soddisfacimento è legato al gesto di “scrollare” i contenuti multimediali utilizzando il pollice. «Purtroppo il meccanismo che porta a rilassarci non è in alcun modo legato alla qualità o meno del contenuto multimediale che osserviamo – ha spiegato Rostagno –: basta fare quel gesto per ottenere una ricarica di dopamina. Il problema è che questo porta il nostro cervello a diventare dipendente».
Il rischio non vale solo per i figli, ma anche per i meno giovani. «Pretendiamo dai ragazzi che ci ascoltino quando parliamo loro – ha detto Rostagno –, ma spesso siamo noi i primi a dedicare loro solo metà della nostra attenzione perché li ascoltiamo mentre usiamo il cellulare. Questo comportamento ha un nome: phubbing». In gioco c’è la relazione stessa, che si crea dall’interazione pura, non mediata dall’utilizzo di un dispositivo. «Gli studi hanno dimostrato che quando leggiamo una favola ai nostri figli, il ritmo cardiaco e le onde celebrali entrano in armonia: c’è una condivisione di quello che facciamo e ciò si riflette sul nostro fisico. Ciò non avviene se di mezzo c’è un cellulare. Con questo non intendo demonizzare i dispositivi digitali – ha precisato la psicologa –, ma sottolineare che vanno utilizzati correttamente e che gli unici che possono insegnare ai ragazzi a usarli siamo noi». E, a tal proposito, Rostagno ha ricordato come «un genitore può essere amichevole, ma mai amico. Per garantire un buon sviluppo emotivo dei ragazzi, i genitori devono essere contenitori, dove i figli possano sgomitare senza che i confini si rompano. Come? Innanzitutto essendo persone serene e solide, facendo appello alla nostra pazienza. Dando regole coerenti, che non significa che non possano cambiare, ma se cambiano devono essere giustificate. I genitori possono sbagliare, ma ciò va messo in parola perché i ragazzi imparino a gestire gli errori e la frustrazione. Ricordiamoci che il nostro compito è crescere figli adatti al mondo in cui viviamo».