L'intervista

venerdì 6 Giugno, 2025

La psicanalista Laura Pigozzi: «Togliamo l’inutile, agli adolescenti un po’ di frustrazione fa bene»

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L'autrice del libro «L'età dello sballo»: «Le dipendenze sono il male di oggi. E anche la cannabis non è più quella di una volta: è forte e può dare allucinazioni»

Cosa spinge un giovane a cercare lo sballo? Perché il desiderio sembra essersi smarrito, sostituito da un bisogno urgente di evasione, anestesia, alterazione? Nel suo nuovo libro «L’età dello sballo. Giovani, droghe, psicofarmaci, tra conformismo e dipendenza» (Rizzoli) che verrà presentato domani, alle 20.30, a Palazzo Pizzini di Ala all’interno del festival «Storie di velluto: il festival di letteratura per ragazze e ragazzi», Laura Pigozzi – psicoanalista, filosofa, musicoterapeuta e già autrice di numerosi saggi – ci accompagna in una riflessione profonda e necessaria su un malessere che attraversa le nuove generazioni, spesso inascoltate, spesso travolte da un presente troppo rapido, troppo saturo, troppo solo. Lungi dal proporre ricette preconfezionate, Pigozzi apre spazi di riflessione e comprensione: lega la psicoanalisi alle neuroscienze, intreccia i dati dell’epigenetica con l’esperienza clinica, per restituire dignità alle storie individuali e alle relazioni che le attraversano. Perché il desiderio non nasce dal tutto subito, ma dal limite accolto, dalla frustrazione che diventa mancanza feconda. Il saggio si fa così una guida sensibile e colta per educatori, genitori, terapeuti – ma anche per chiunque voglia interrogarsi sul senso del crescere oggi, su ciò che rende un essere umano capace di desiderare, scegliere, stare al mondo. Perché nessun benessere può esistere al di fuori delle relazioni, e la parola, quella che cura, che dà forma, che riconosce, resta il primo e più profondo strumento di trasformazione.

 

Laura Pigozzi, come nasce l’idea di scrivere «L’età dello sballo»?
«Osservando ciò che mi circonda, mi sono chiesta: che cosa sta succedendo, che cosa non funziona? Ascoltando le storie dei miei pazienti ho compreso che la dipendenza — in tutte le sue forme — è la grande piaga del nostro tempo».
Le dipendenze da alcool, droga, psicofarmaci ma anche sport affondano le loro radici nelle prime esperienze di vita….
«Le dipendenze si radicano nei primi scambi della vita perché esse sono il frutto (cattivo) della plasticità cerebrale. Quando i primi comportamenti si configurano come godimenti senza limite attivano il circuito della ricompensa, diventando la base e la matrice dei comportamenti successivi, perché il cervello impara attraverso la sua plasticità, per cui operazioni ripetute, godimenti insensati reiterati, per esempio, si installano come una marcatura irrinunciabile. Le pratiche di allattamento possono essere snodi importantissimi per arginare l’instaurarsi di una dipendenza. Uno dei primi legami mamma-bambino si costituisce intorno al latte, alla modulazione della voce materna e al volto sorridente della madre, momenti che diventano una ricompensa per il piccolo. Quando ha fame, un bambino piange: la madre lo nutre e il piccolo si forma una rappresentazione interna, una via di quel circuito della ricompensa che può essere ripetuto quando avrà ancora bisogno di cibo. Se la ricompensa non c’è, se la madre è atona, se il suo volto è accigliato o triste, se non è psichicamente nutritiva benché lo allatti con regolarità, questa ricompensa senza vera soddisfazione continua a essere cercata invano e il meccanismo gira in una ripetizione vuota. Come si capisce, non è l’allattamento a lungo termine la soluzione. Chiariamo bene che una madre può essere psichicamente nutritiva anche allattando col biberon, come potrebbe non essere affatto nutritiva allattando al seno: il cibo è sempre psichico tra gli umani, è sempre un messaggero, è immancabilmente l’articolazione di un discorso senza parole».

 

Cosa accade quando i genitori non permettono alla prole di imparare a fare i conti con la mancanza, quindi non consentono loro di imparare a desiderare, anziché dipendere?
«Il problema è che noi adulti non sappiamo frustrare i ragazzi sulle cose che devono mancare: il nostro compito è di non privarli delle cose che sono acquisizioni simboliche. Penso ad esempio ai rapporti con gli altri ragazzi, alla scelta di iscriversi all’università o a un ciclo di studi che desiderano seguire. Possiamo invece tranquillamente frustrarli sulle cose inutili, che invece tendiamo a regalare loro a mani piene: scarpe, cellulari, le ultime tendenze di qualunque cosa della moda. Li riempiamo di oggetti, ma poi magari li convinciamo a frequentare l’università sotto casa perché così restano più vicini a noi».

 

Perché anche se sappiamo che qualcosa – come le droghe – ma anche qualcuno (come ad esempio un partner violento) ci fa male, non riusciamo a farne a meno?
«Perché non siamo fatti di ragione, che è l’ultima carrozza del nostro treno: la locomotiva del nostro treno è l’inconscio, ma noi continuiamo a non volerne sapere. E allora, se siamo stati educati nella dipendenza, cercheremo rapporti dipendenti».

 

Qual è l’effetto della Cannabis sugli adolescenti?
«La Cannabis contemporanea non è quella che abbiamo sempre conosciuto: quella dei giorni nostri provoca effetti che non sono solo attacchi di panico e agitazione, ma possono essere anche allucinazioni e deliri. Una Cannabis con Thc alto, tra il 15 e il 20 per cento, può scatenare una psicosi latente. Si ritiene che sia proprio il Thc a giocare un ruolo chiave nello sviluppo della psicosi agendo sul sistema endocannabinoide del cervello e influenzando la trasmissione dei neurotrasmettitori».

 

La terapia psicoanalitica consente una trasformazione, produce cambiamenti sinaptici ed epigenetici: si può guarire dalle dipendenze grazie a questo approccio terapeutico?
«Psicoterapia e psicoanalisi sono due percorsi affini ma distinti, che procedono in parallelo senza coincidere del tutto. Entrambe sono terapie fondate sulla parola e, ad oggi, rappresentano gli approcci più efficaci nel trattamento del disagio psichico. Agiscono soprattutto sulle prime relazioni familiari, lavorando con ciò che abbiamo vissuto con le figure che ci hanno cresciuti. L’obiettivo è elaborare quanto, in quelle esperienze originarie, non ha funzionato e continua a influenzare il nostro presente».

 

Un’ultima domanda. C’è chi dà tutta la colpa al Covid quando si tratta di parlare del profondo disagio che vivono i e le giovani, ma in realtà – come scrive nel suo saggio – il Covid ha solo slatentizzato un problema preesistente. Perché gli e le adolescenti stanno così male?
«Non sappiamo più fare i genitori. Vogliamo fare gli amici: vogliamo vivere la vita insieme ai ragazzi, non vogliamo separarci da loro, non li vogliamo lasciare andare. Questo perturba un piano psichico e un piano simbolico, confonde i posti e le funzioni di tutti quanti. Non esercitiamo quella funzione frustrante che serve a crescere, ma siamo assenti o iper presenti: manca un punto di medietà».