La storia
martedì 28 Ottobre, 2025
Volley, la curva Gislimberti compie 25 anni. «Kaziyski rimaneva un’ora a firmare autografi. A Modena organizzammo una grigliata»
di Jacopo Mustaffi
È una delle tifoserie più amate d'Italia. L'ex presidente Nicola Abaza ricorda alcuni dei momenti storici: «La nostra passione sempre nella memoria di Paolo, morto tragicamente a 33 anni al Gran Premio di Monza»
La Curva Gislimberti compie 25 anni. Nata dalla fusione dei Fans Club Cuore Giallo Blu, Volley Follia e altri gruppi, la tifoseria trentina rappresenta una delle più apprezzate e organizzate di tutto il panorama pallavolistico nazionale. Ma una domanda sorge spontanea: perché si chiama Curva Gislimberti? Forse molti non lo sanno. Originario di Lavis, Paolo Gislimberti era un vigile del fuoco volontario e si trovava a bordo pista durante il Gran Premio d’Italia a Monza del 2000, quando un incidente automobilistico fece schizzare una gomma in aria e la traiettoria impazzita la fece finire proprio su di lui. Paolo Gislimberti perse così la vita a soli 33 anni. Tifosissimo dell’Itas Trentino dai tempi della Itas Btb Mezzolombardo, gli viene intitolata la curva, come sottolinea Nicola Abaza, presidente della Curva Gislimberti dal 2017 fino al 2021, prima di lasciare il testimone a Matteo Serio e infine, all’attuale presidente Christian Martinelli. Negli anni l’organizzazione dei tifosi, ha coinvolto più generazioni ed è cresciuto insieme a questa società. Nicola Abaza ci ricorda i momenti indimenticabili come la leggendaria grigliata organizzata nel parcheggio dello stadio di Modena.
Abaza, ma chi era Paolo Gislimberti? Perché la curva è stata intitolata proprio a lui?
«Paolo era una persona molto amata nell’ambiente della pallavolo. Veniva dalla tifoseria di Mezzolombardo, come tanta altra gente che seguiva la curva nei primi anni, ed era tifoso da quando la Trentino Volley era appunto Itas Btb Mezzolombardo. Era uno dei ragazzi in curva negli anni in cui si giocava ancora al Palasport di Gardolo. Era un tifoso storico e per questo si è scelto di intitolargli il settore dopo la tragedia che lo ha coinvolto».
Ricorda ancora il momento della tragedia?
«Non ero presente materialmente, perché entrai nella curva a metà stagione: avevo 14 anni, ero molto piccolo. Il presidente all’epoca era Andrea Pilati, presidente storico per anni della curva. La scelta di dedicare la curva a Gislimberti nacque d’estate, perché l’incidente durante il Gp a Monza era avvenuto a maggio-giugno, se non ricordo male. In realtà il nome dell’associazione era Fans Club Cuore Gialloblù: il settore del palazzetto venne denominato Curva Gislimberti. Poi l’intitolazione è stata presa ufficialmente in carico da Trentino Volley nel 2015, quando ci siamo trasferiti dalla Curva Est alla Curva Ovest».
Parlando della curva: come l’ha vista crescere in questi 25 anni?
«All’inizio era un’organizzazione fatta da chi seguiva la squadra anche in A2. Poi c’è stata la trasformazione in associazione Fans Club Cuore Gialloblù. Nel 2005 è nata anche Volley Follia, un altro gruppo di tifosi. Siamo passati alla denominazione unica di Curva Gislimberti con la Final Four di Bolzano del 2011: quella fu la prima uscita ufficiale. In quel periodo erano nati anche i “Pezzi da 90”, durati un paio d’anni circa e per un periodo c’era anche la sezione della Valsugana in curva. Dal 2011 siamo andati avanti solo come Curva Gislimberti».
Quale trasferta ricorda con più emozione?
«Troppe! Ma se devo dirne una: la vittoria dello Scudetto a Modena nel 2015. Vincere uno Scudetto è bello. Vincere in casa della rivale è bellissimo. È stata indimenticabile per la rivalità che c’era sugli spalti, ma non c’è mai nulla di personale. Ad esempio alcune persone del direttivo della curva di Modena sono state al mio matrimonio, da quanto fossimo legati».
E sul rapporto con i giocatori?
«Dipende dalla militanza del singolo. Ho avuto la fortuna di conoscerne tanti: con alcuni è nato un ottimo rapporto, con altri magari meno per questioni di carattere. Il simbolo della Trentino Volley per me resta Matey Kaziyski. Per storia, per disponibilità e per legame con la città. Era quello che rimaneva un’ora e mezza a firmare autografi anche dopo una semplice partita di campionato».
Qual è l’aneddoto più bello che porta nel cuore?
«Scontato dirti le vittorie… ma no, racconto la cosa più divertente: la grigliata davanti al PalaPanini a Modena. Rientravamo da una trasferta a Busto Arsizio e con Matteo, il mio vice, ci venne l’idea di organizzare una grigliata, due settimane dopo, davanti al palazzetto di Modena. Il giorno dopo chiamai Digos e Questura: tutti convinti che ci avrebbero detto di smetterla di sognare. Invece nell’arco di tre giorni avevamo l’ok sia da Trento che da Modena. Arriviamo davanti al PalaPanini alle 11. Abbiamo allestito una griglia di un metro per un metro, e 200 persone a mangiare fuori dal palazzetto per cinque ore».
E i modenesi come l’hanno presa?
«Sono venuti anche loro a mangiare! Nella pallavolo le rivalità esistono e sono bellissime. Ma fuori dal palazzetto è un altro mondo: quello della pallavolo è corretto, umano, unito. Però sa, adesso una cosa qui ci tengo a dirla. Rispetto a quello che è successo a Rieti, con la tragica morte dell’autista del pullman del basket, nel volley è diverso. Le rivalità esistono e ci saranno sempre, ed è naturale: sono belle, fanno parte del gioco. Ma il mondo della pallavolo è totalmente un’altra cosa: va bene “scontrarsi” sugli spalti, ma fuori il rispetto non viene mai meno».
Nella sua esperienza, quali sono le tifoserie più belle d’Italia?
«A me è sempre piaciuto ammirare le tifoserie belle, perché avendo vissuto vent’anni in curva, prendi spunto anche dagli altri. Al di là di Perugia, che meriterebbe un capitolo a parte, la tifoseria per eccellenza, secondo me, nella pallavolo rimane quella di Cuneo. Hanno passato undici anni ad andare a vedere partite in palestre di periferia pur di aspettare il ritorno in Serie A. Questo, per me, è essere tifosi veri».
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