Val Rendena

giovedì 21 Agosto, 2025

«La buona notizia è che non hai bisogno della religione»: un cartello fa riesplodere la polemica sulle croci di vetta

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La campagna lanciata da Alessandro Giacomini riprende uno slogan della Uaar. Cia (Misto): «Irrispettoso della nostra storia»

Nel 2009, l’Uaar, l’unione degli atei, agnostici e razionalisti, tentò una campagna shock sugli autobus di Genova. Con uno slogan: «La brutta notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno». Non ci riuscì, perché l’inserzione venne rifiutata.

 

Sedici anni dopo, eccolo ricomparire la stessa frase (aggiustata) sulle montagne trentine. Una formula, forse, più rassicurante: «La brutta notizia è la presenza della religione. Quella buona è che non ne hai bisogno». Il primo è comparso a Malga Ritorto, nei dintorni di Madonna di Campiglio. C’è anche una specie di firma («citazione di Giacomini Alessandro»). E del resto è lo stesso Giacomini, già portavoce trentino dello Uaar, esecutore testamentario di Margherita Hack, ad aver lanciato, tre giorni fa, l’iniziativa dal suo profilo Facebook: «Le cime delle montagne — scrive Giacomini — dovrebbero essere neutre.

 

La presenza di simboli religiosi sulle vette può essere vista come una contraddizione a questo principio. Molti sostengono che i luoghi naturali ditale importanza dovrebbero rimanere liberi da simboli che possono essere interpretati come divisivi o esclusivi, per preservare un senso di universalità e rispetto per tutti. Quindi chiedo a tutti coloro che hanno a cuore questi principi di aggiungere ad ogni marcatura del territorio, con simboli religiosi, un cartello con questa dicitura».

 

E a Malga Ritorto è seguita, sempre in zona Rendena, cima Durmont (comune di Tre Ville), dove sotto la croce è comparsa la stessa scritta. Non sono mancate le reazioni. La prima, nel mondo politico trentino, è del consigliere provinciale Claudio Cia (Gruppo Misto): «Non è la prima volta — afferma Cia — che questo personaggio (Giacomini, ndr) si fa notare per provocazioni di questo genere, volte più a ottenere visibilità che ad alimentare un confronto serio. Questa iniziativa è doppiamente assurda. Da un lato perché ignora che le religioni non sono un ingombro da cui liberarsi, ma parte integrante della nostra storia collettiva. Hanno plasmato comunità, favorito il nascere di reti di solidarietà, dato vita a scuole, ospedali e opere sociali che hanno reso più coeso il tessuto civile delle nostre comunità alpine. Pensare di liquidare tutto questo con uno slogan non è un atto di libertà, ma un impoverimento culturale.
Dall’altro lato perché dimentica una verità semplice: l’essere umano è un essere simbolico, portato a cercare senso, memoria e ritualità condivise. Le croci sulle nostre vette non sono imposizioni calate dall’alto, ma segni popolari nati dalla devozione e dal ricordo di chi ci ha preceduti. Affiggervi cartelli polemici non ne riduce il significato, ma finisce solo per confermarne la forza e l’attualità.Il Trentino ha sempre saputo coniugare la libertà di coscienza con il rispetto dei segni che fanno parte del nostro patrimonio spirituale e culturale. È questa la strada che dobbiamo difendere: meno slogan, più rispetto e più dialogo».

 

Non è la prima volta che la presenza delle croci di vetta, scatenano un dibattito: nel 2023, una dichiarazione di Marco Albino Ferrari, responsabile culturale del Cai, disse che era opportuno non erigerne di nuove. Scoppiò un caso, con le reazioni indignate, tra le altre, dei ministri Salvini e Santanché.