L'inchiesta

venerdì 30 Maggio, 2025

Indagine Sciabolata, a Trento riapre il Dolce Vita. Resta in carcere solo Claudio Agostini: dubbi sul riciclaggio

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Le decisioni del tribunale del riesame: confermato il traffico di stupefacenti. I soldi sequestrati, però, potrebbero essere frutto di operazioni in nero (e questo cambia le cose)

Forse non sono i soldi della droga che la famiglia Agostini, quella coinvolta nell’inchiesta «Sciabolata» ha riciclato. Forse sono altri soldi, non «puliti» ma frutto di un altro tipo di illecito, l’evasione fiscale. In altre parole, soldi in nero. Dettagli? Tutt’altro per il tribunale del riesame. Si fonda infatti principalmente su questo punto la decisione dei giudici che ha portato alla scarcerazione di Gabriele Agostini, lo «sciabolatore» di bottiglie da cui prende il nome l’inchiesta. La notizia era arrivata nella mattinata di mercoledì. E ieri si sono aggiunte delle novità anche per quanto riguarda il fratello di Gabriele, Alessio: accolto parzialmente il ricorso presentato dall’avvocato Giuliano Valer, che deve rispondere dell’accusa di corruzione per l’affare del Grand Hotel Imperial di Levico ha visto commutare la custodia cautelare in carcere (nella casa circondariale di Montorio, Verona) per corruzione. Non cambia nulla, invece, per il padre dei due, il 70enne Claudio Agostini, che resta in carcere a Trento.
«Accogliamo la notizia dell’attenuazione della misura con grande soddisfazione – spiega l’avvocato Valer – questo però non fa calare l’attenzione e continueremo a fornire chiarimenti all’autorità giudiziaria, in ordine alla liceità delle proprie condotte».

 

Salvati dall’evasione
Il grosso dell’inchiesta sembra reggere al vaglio dei giudici del riesame: ci sono prove solide sullo spaccio di droga, sulla corruzione e sulla turbativa d’asta. E non sembra esserci dubbi che ci siano dei soldi riciclati. Gli inquirenti hanno disposto il sequestro di una somma che viene collegata direttamente allo spaccio di droga. Secondo il riesame, però, questo collegamento diretto non può essere provato. Ci sarebbe un’intercettazione, in particolare, che viene presa in considerazione. Risale al novembre 2023. A parlare è Claudio Agostini: «Gli do 50.000… black… nero… Lui li lava, li mette in lavatrice». Il soggetto della frase è Steve Stinghel, l’assicuratore di Priò (frazione di Predaia), coinvolto nell’inchiesta. Un’intercettazione che sembra aver aiutato almeno in parte gli Agostini, in quanto farebbe supporre che i soldi individuati potrebbero essere frutto di operazioni in nero più che di operazioni legate al narcotraffico. Non solo, i giudici del riesame rilevano anche come, almeno in alcune occasione, la droga acquistata nei locali venisse pagata tramite Pos, con il bancomat. È il caso di due pizze pagate al prezzo – decisamente anomalo – di 210 euro. Perché questo dettaglio è importante? Perché verrebbe a mancare la prova che i contante sequestrato sia legata al reato di traffico di droga, reato fine dell’inchiesta. Con ciò viene meno uno dei presupposti per la custodia cautelare in carcere: il rischio di inquinamento delle prove. Per Claudio Agostini, invece, rimane il pericolo di reiterazione del reato, in quanto supposto promotore dell’associazione criminale dedita allo spaccio. Ma la difficoltà nel fare il collegamento tra contanti e stupefacenti potrebbe avere ripercussioni anche per quanto riguarda gli sviluppi dell’inchiesta: si è parlato, infatti, di investimenti non solo in lingotti ma anche in criptovalute: il che renderebbe difficile trovare i «soldi della droga».

 

Riapre il Dolce Vita
C’è anche un altro capitolo, nell’inchiesta «Sciabolata», quello che riguarda un locale storico del centro, non proprietà degli Agostini. Si tratta del Dolce Vita di via Belenzani, in piano centro a Trento, un bar chiuso in quanto supposto luogo di spaccio di droga (stessa sorte è toccata al Dersut in centro a Lavis). Mercoledì, il tribunale del riesame si è pronunciato sui fratelli Artan e Jetnor Zanaj, considerati i «titolari occulti» del locale, rimettendoli in libertà.
Ieri la pronuncia sui sigilli al locale, chiuso da oltre un mese, cioè da quel 15 aprile in cui sono state eseguite, con un blitz, le misure cautelari. Ebbene, il ricorso, presentato dall’avvocato Mario Murgo per conto della proprietaria, la 24enne Ecaterina Arnaut, è stato accolto, con tanto di dissequestro. Anche in questo caso, non sarebbe possibile provare che nell’acquisto del locale siano stati utilizzati soldi proventi di narcotraffico. La difesa ha sottolineato come quei soldi fossero nella disponibilità del nucleo familiare (in particolare della madre dei fratelli Zanaj) e che sarebbero provati da degli assegni circolari. Nelle intercettazioni si era parlato della vendita di una casa in Albania per finanziare l’affare. Vendita che, comunque, non sarebbe avvenuta.