L'inchiesta
venerdì 27 Giugno, 2025
In Trentino 43mila donne part time per curare i figli. E 16mila mamme li crescono sole
di Gabriele Stanga
E nel settore privato, le donne lavoratrici a tempo parziale superano le colleghe «full time»

In Trentino lavorano più di 116mila donne, di queste, però il 38%, ossia circa 43 mila, sono lavoratrici part time, e se si considera il solo settore privato, addirittura il personale femminile occupato a tempo parziale supera in numero quello occupato a tempo pieno.
In alcuni casi (circa il 50% secondo la Commissione pari opportunità) si tratta di part time involontario (in cui non c’erano offerte di lavoro a tempo pieno), in molti altri di part time volontari, ma dietro i quali spesso si nasconde la necessità di adempiere ai compiti di cura, che gravano maggiormente sulle donne e non offrono reali alternative.
Basti un dato su tutti a come indicazione: i nuclei familiari costituiti da un solo genitore, con a carico uno più figli in provincia di Trento sono 20mila, in 4 mila casi il genitore è il padre, mentre nei restanti 16mila è la la madre ad occuparsi da sola della prole.
Il lavoro femminile
Secondo le rilevazioni Ispat, nel primo trimestre 2025, le donne occupate in Trentino sono 116.394, con un tasso di occupazione del 66,7%. A confronto gli uomini occupati sono 136mila con un tasso del 76%. Nel 2024 il dato era di 111mila a 131mila. Sempre nel 2024 le donne con impiego a tempo pieno erano 68mila, mentre ben 43mila risultavano impiegate part time. I maschi che lavorano a tempo parziale in provincia di Trento, invece erano solo 7mila.
Anche guardando alla stabilità dell’occupazione, le donne risultano più precarie: infatti, gli uomini occupati a tempo determinato sono 15mila, le donne 22mila (84mila a 75mila i numeri per l’indeterminato).
E i dati sono ancora più preoccupanti se si guarda all’ambito privato: secondo le rilevazioni dell’Inps relative al 2023 (le ultime disponibili, che fanno riferimento a una platea più vasta rispetto a quella Ispat), le lavoratrici part time nel privato sono circa 44mila, mentre quelle assunte a tempo pieno solo 40mila.
La retribuzione media è di 21.582 per le assunte full time e di 13.275 per le part time. Un salario, quest’ultimo, ben al di sotto della soglia individuata come adeguata dall’Unione europea, corrispondente a circa 18mila euro annui (la metà del salario medio lordo nazionale).
Divario negli stipendi
E qui si inserisce il discorso sul gender pay gap: stando all’Ispat, in Trentino una donna percepisce in media 97 euro al giorno, un uomo 115. La forbice è dunque del 15,5%, più ampia di quella nazionale ferma al 12,5.
Il dato è più basso per quanto riguarda la fascia più giovane di popolazione, quella tra i 15 e i 34 anni, nella quale il divario è del 10% ed aumenta al fino al 19% e oltre per i lavoratori con più di 50 anni.
E aumenta con l’aumentare dell’età anche la percentuale di donne inattive rispetto a quella degli uomini: tra i 15 e i 24 anni il tasso di inattività (ossia la percentuale di quante non studiano e non lavorano) femminile è del 6,5%, mentre quello maschile del 16,5%. Dai 24 anni anni in su si arriva, invece ad un dato del 23% per gli uomini e del 32% delle donne.
I compiti di cura
Ma quali sono le ragioni di queste differenze?
Per quanto riguarda il part time, la Commissione pari opportunità spiegava, a fine maggio, che circa la metà è involontario.
Ossia dettato dalla mancanza di opportunità di lavoro alternative. Anche quando, però il part time è una scelta, spesso questa non è esattamente libera, ma piuttosto dettata dalla necessità di conciliare impegni professionali e familiari. I compiti di cura, che riguardino i figli o gli anziani, ricadono infatti più sulle donne, tanto che l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), stima che le donne abbiano il 40% in più di probabilità di ridurre il proprio lavoro a causa di responsabilità familiari. Discorso simile riguarda l’inattività, che aumenta con il crescere dell’età proprio perché più le donne crescono, maggiori sono le responsabilità che si trovano a dover gestire.
Sole con figli in 16mila
La mancanza di servizi conciliativi che diano un’alternativa al part time si riflette anche sui numeri dei nuovi nati. È noto che in Trentino il tasso di natalità è in calo (oggi si è arrivati al 7%, nel 2000 era l’11%), e allo stesso tempo anche il tasso di fecondità, il numero medio di figli per donna, è sceso in 10 anni da 1,56 a 1,21.
Nel 2024, inoltre, ben 530 mamme hanno consegnato le dimissioni entro il primo anno dalla nascita di un figlio (vedi il T dell’8 marzo). Aveva destato scalpore, inoltre il caso di una lavoratrice della sede di Arco di Dana, licenziata proprio perché incinta (la Corte d’appello ha condannato la Multinazionale al risarcimento danni per discriminazione di genere).
Ci sono poi altri dati da aggiungere all’analisi. In Trentino le coppie senza figli sono 52mila, mentre ci sono 32mila coppie con un figlio, 33mila con due e 11mila con 3 o più di 3 figli (queste ultime interessate dal bonus terzo figlio, appena proposto in manovra di assestamento). In molte di queste famiglie i compiti di cura probabilmente ricadono in misura maggiore sulle madri. Ma non solo, perché in provincia ci sono anche 20mila famiglie monogenitoriali. solo in 4mila di questi nuclei il genitore è il padre, mentre sono 16mila le donne che crescono i propri figli da sole.
Un rapporto di 1 a 4 che mostra quanto sia importante investire sui servizi di conciliazione, a sostegno delle lavoratrici e di quante vorrebbero lavorare, magari a tempo pieno, ma non sono nelle condizioni di farlo.
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