la storia

sabato 25 Ottobre, 2025

«In Marocco sono uno “zouhri”: se torno mi uccideranno». Un 32enne fa ricorso dopo il «no» alla protezione internazionale

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La Commissione è per il rimpatrio ma il giovane, domiciliato in Valsugana, lavora come operaio per una ditta che opera sull’A22

«Se torno in patria, in Marocco, la mia vita è in serio pericolo. Per quella linea retta evidente che attraversa il palmo delle mie mani sono considerato uno “zouhri”: cercatori d’oro superstiziosi, criminali senza scrupoli e legati al mondo dei rituali di magia nera sarebbero pronti a rapirmi e ad uccidermi. E poi ho problemi di salute che solo qui in Italia sono riuscito a curare». La storia è quella di un giovane di 32 anni, arrivato in Italia nel 2022 con un visto per motivi lavorativi e domiciliato da qualche tempo in Valsugana. Assistito dall’avvocato Michele Busetti, è ricorso al tribunale di Venezia, la sezione in materia di immigrazione, dopo che la commissione preposta di Verona non gli ha accolto la domanda di protezione internazionale. Presentata adducendo una serie di motivazioni, spiegando a cosa potrebbe andare incontro se fosse costretto a tornare nel suo Paese. Ma niente: la commissione scaligera ha ritenuto la sua richiesta «manifestamente infondata», così come gli è stato notificato a inizio mese. Di qui la decisione dello straniero di impugnare la decisione anche contro il Ministero dell’Interno.
La vicenda umana
Il cittadino marocchino, stando al suo racconto, fin da ragazzino è stato oggetto di una faida familiare, la cui trama si intreccia con antiche credenze e superstizioni, ancora molto radicate nella cultura locale. Un uomo, a suo dire, aveva anche tentato di rapirlo, a 12 anni, per quel segno interno alla mano che è proprio di uno «zouhri» secondo un’antica credenza popolare. Avrebbe cioè dei legami con antichi demoni e sangue in grado di far scoprire l’oro e i tesori seppelliti sotto la terra, nei cimiteri. Sentendosi in pericolo, appena possibile si era anche trasferito dalla sua cittadina, proprio per scongiurare che cercatori di tesori superstiziosi e malintenzionati potessero fargli del male. Un rischio concreto, ancora di più perché uno zio paterno era arrivato a ricattare i suoi genitori, chiedendo loro soldi con la minaccia che altrimenti avrebbe rivelato a gruppi malavitosi che il loro figlio era uno «zouhri» e lo uccidessero. Di qui la decisione del 32enne di lasciare il Marocco, tre anni fa. In Italia l’immigrato, mai un problema con la giustizia, si è rifatto una vita: prima ha fatto il cuoco, ora lavora come operaio per una ditta che opera sull’A22. «Non posso tornare in Marocco, temo per la mia incolumità dati i ricatti dello zio, che non ha mai smesso di minacciare i miei: lì ci sono criminali intenzionati a farmi del male» è il racconto dello straniero che ha chiesto di essere sentito di persona. Una versione, la sua, che la Commissione di Verona non ha ritenuto credibile: le minacce sarebbero vaghe e generiche e non sarebbe stato spiegato il legame con la sua condizione di appartenente al gruppo degli «zouhri». La Commissione è convinta che in caso di rimpatrio «non rischia di subire trattamenti inumani o degradanti connessi alla propria condizione personale o sociale». Non è dello stesso avviso l’avvocato Busetti che ha anche citato precedenti sentenze.
Salute e vita in Trentino
Il 32enne ha spiegato come la sua richiesta di protezione internazionale sia dettata anche dai suoi problemi di salute, per i quali in patria non ha mai ricevuto un’adeguata cura, e che rischiano quindi di aggravarsi. L’uomo ha anche evidenziato il percorso di integrazione fatto in Italia, la volontà di continuare a lavorare (con la profonda crisi economica in Marocco rischia di trovarsi a vivere in condizioni di marginalità sociale). C’è poi, da parte del ricorrente, l’intenzione di continuare a coltivare i legami allacciati in Trentino.
Insomma, per la difesa l’eventuale rimpatrio esporrebbe certamente il ricorrente «al pericolo di danno grave, sia per l’incolumità personale, sia per la propria salute e sia per la violazione del rispetto della vita privata e familiare».