L'editoriale

sabato 30 Agosto, 2025

Il potere e la sua riproduzione

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Nonostante la narrativa sia monopolizzata da figure di leader carismatici, nella maggioranza dei casi il potere è in mano a gruppi che si preoccupano di rigenerarlo e tutelarlo

Il potere è un concetto basilare della sociologia, soprattutto di quella classica. Del resto se si studiano le relazioni e le formazioni sociali è inevitabile utilizzare questa lente, considerato che il potere si definisce soprattutto come capacità di influenzamento. A proposito chissà se nel termine «influencer» c’è anche questa dimensione, visto che si tratta di un ruolo e di una professione sempre più in voga grazie a social network che, a modo loro, rendono più accessibile questa particolare modalità di orientare e persuadere.

 

Forse poteva starci anche qualcuno di questi soggetti nella mappatura del potere in Trentino pubblicata da «il T» qualche giorno fa, rispetto alla quale è possibile proporre qualche ulteriore riflessione. Non solo su chi c’è e chi non c’è nella lista (who’s who dicono gli anglosassoni) e neanche solo sui contesti territoriali e istituzionali e sociali nei quali il potere tende a concentrarsi, come la politica ma anche i corpi intermedi dell’economia e della società civile. Una questione di rilievo riguarda le modalità attraverso cui la risorsa del potere – che tende a essere scarsa e concentrata – viene riprodotta e condivisa.

 

Nonostante la narrativa sul tema sia monopolizzata da figure di leader carismatici dove il potere è incarnato nella loro biografia (e quindi spesso nel loro corpo fisico), in realtà nella maggioranza dei casi il potere è posto in capo a gruppi che si preoccupano di tutelarlo e rigenerarlo. Rispetto a questa esigenza c’è un meccanismo molto utilizzato in particolare in contesti locali che è quello della cooptazione. Si tratta di una modalità di selezione e coinvolgimento attraverso cui i membri che già fanno parte di una collettività dotata di una qualche quota di potere designano e introducono nuovi membri. Un metodo applicabile a diverse casistiche, ad esempio quando si formano le liste per partecipare alla competizione elettorale a livello amministrativo, ma anche quando si tratta di partecipare alle elezioni per il direttivo di un’associazione, per il consiglio di amministrazione di una cooperativa o anche di un’azienda di capitali soprattutto se a proprietà diffusa. La cooptazione come accesso al potere quindi, allo scopo di mantenere ed estendere la sua capacità di influenzamento che spesso è in competizione con quello di altri gruppi.

 

Cooptare è comunque un’azione soggetta a possibili derive negative, ad esempio l’opacità delle procedure che vengono adottate per individuare e introdurre nuovi membri. Oppure l’omofilia che, sempre in termini sociologici, è la tendenza a creare legami sociali con persone simili per possesso di determinate caratteristiche (genere, appartenenza, età, interessi) contribuendo così a chiudere le cerchie del potere rendendole sempre più autoreferenziali. C’è anche un ulteriore rischio che però può trasformarsi un’opportunità ovvero l’ampiezza e la diversificazione del bacino di persone e organizzazioni potenzialmente cooptabili. È un dato di fatto che negli ultimi anni questo serbatoio di protagonismo si sia assottigliato contribuendo così a esasperare gli aspetti deteriori della cooptazione. Non è solo una questione di quantità di persone, ma anche di qualità del capitale umano candidabile a posizione di leadership. Per questo serve allenare non solo competenze tecniche di natura amministrativa, economica, societaria, ecc. ma soprattutto le famose competenze di vita «soft» legate alla gestione delle relazioni, in particolare dialettiche e riflessive.

 

La miglior palestra, da questo punto di vista, è quella rappresentata dalle organizzazioni della società civile dove ci si può allenare a «stare in società» attraverso l’azione concreta di servizio per il bene comune che la comunità «certifica» riconoscendo e legittimando nuovi leader. Gli ultimi dati sul volontariato presentati dall’Istat sono particolarmente interessanti in tal senso perché da una parte segnalano un decremento in termini numerici dei volontari ma dall’altra una maggiore consistenza dell’impegno da parte di chi partecipa non tanto, ancora una volta, in termini di quantità di tempo ma piuttosto di capacità di focalizzare e perseguire obiettivi di cambiamento positivi e duraturi per la propria comunità e per le persone a favore delle quali si opera. Ma visto che siamo in una società sempre più articolata nella sua composizione e formalizzata nelle relazioni è necessario che queste capacità di influenzamento vengano riconosciute e sostenute. Ad esempio attraverso certificazioni vere e proprie come nel caso dei «manager territoriali» della Fondazione Demarchi, oppure l’educazione cooperativa proposta nelle scuole dalla Federazione trentina della cooperazione, o ancora l’emersione di nuovi protagonisti della politica grazie alla piattaforma digitale «Ti candido». Da queste e altre palestre dipenderà una cooptazione nei luoghi di potere capace di rispondere a un’esigenza sempre più sentita di trasparenza, competenza, e legittimità.

 

 

*Sociologo, Open Innovation Manager del Gruppo cooperativo Cgm