Lavoro
giovedì 15 Maggio, 2025
Ha una gravidanza a rischio, la Dana la licenzia. L’azienda condannata per discriminazione di genere
di Redazione
Arco, la giovane mamma era una dipendente interinale ed è stata reintegrata, esulta la Fiom Cgil: «Vittoria storica»

La Corte d’Appello accoglie il ricorso di un’impiegata in staff leasing a cui Dana aveva interrotto il lavoro a fronte della gravidanza. La notizia viene comunicata dalla Cgil del Trentino.
I fatti risalgono a quattro anni fa. L’impiegata, addetta alla contabilità, lavorava in Dana, azienda metalmeccanica con sede ad Arco e Rovereto, con un contratto interinale, con missione a termine fino al 2049. Nel settembre 2021 veniva posta in gravidanza a rischio e, per questa ragione, Dana la estrometteva dall’organico, interrompendone la missione. In conseguenza a questa decisione, la lavoratrice tornava in capo all’agenzia di somministrazione, la Manpower, la quale, non potendola ricollocare altrove proprio a causa della gravidanza, le erogava solo l’indennità di mancata missione, un importo mensile pari a meno di un terzo dello stipendio che la lavoratrice avrebbe percepito se il diritto alla maternità le fosse stato garantito.
A fronte delle rimostranze della Fiom, Dana dapprima sosteneva di non avere alcun dovere nei confronti dei lavoratori in somministrazione, in quanto formalmente dipendenti di altre aziende, “con le quali sussiste solo contratto commerciale”. Dopodiché, davanti al Giudice del lavoro, Dana sosteneva che la decisione di interrompere la missione
era “conseguenza di una ristrutturazione aziendale” e che la concomitanza con la gravidanza era pura coincidenza, cosi come pura coincidenza era stata l’identica decisione assunta nei confronti di un’altra lavoratrice interinale andata in gravidanza.
La Corte d’Appello di Trento ha accertato che il comportamento di Dana è derivato da una discriminazione verso le donne: tra circa un migliaio di lavoratori, stabili e precari, le uniche due persone estromesse da Dana in quel periodo erano state proprio quelle due donne, evidentemente “colpevoli” di aspettare un figlio.
La condizione di una lavoratrice in stato di gravidanza – ha sancito la Corte d’Appello – va tutelata sempre, anche se lavora con un contratto precario. In caso contrario, si è di fronte ad una discriminazione.
Per questa ragione, la Corte ha condannato Dana a riconoscere alla lavoratrice il 100% della retribuzione sino al compimento dell’anno di età del figlio, nonché un risarcimento per il danno dovuto alla discriminazione di genere. Accollate integralmente a Dana anche le spese legali.
Grande la soddisfazione del sindacato per la sentenza. “La parità di genere e la tutela della maternità sono principi che vanno praticati nei fatti, coi comportamenti concreti – queste le parole di Michele Guarda e Giulia Indorato, Segretari Generali di Fiom e Nidil del Trentino – viceversa le belle parole delle policy aziendali contro le discriminazioni di genere sarebbero solo ‘gender washing‘. Grave che un episodio simile sia accaduto in una grande multinazionale”.
“L’auspicio – prosegue Guarda – è che questa sentenza costituisca un primo tassello per mettere al bando lo staff leasing e più in generale l’uso indiscriminato del lavoro precario, che lede la dignità del lavoro e delle persone, azzerando un secolo di conquiste sindacali. Si attende in questo senso con fiducia il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, chiamata ad esprimersi dal Tribunale del Lavoro di Reggio Emilia, ma nel frattempo la politica italiana va in direzione diametralmente opposta, considerato che col recente ‘collegato lavoro’ è stato tolto ogni limite all’utilizzo dei contratti di somministrazione. Anche per questa ragione è importante l’esito positivo dei referendum di giugno”.