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sabato 4 Maggio, 2024

Giacomo Santini: «Da vent’anni nessun trentino eletto a Bruxelles. Rimarrò l’ultimo dei Mohicani»

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Ex spalla di Adriano De Zan nelle leggendarie telecronache di ciclismo degli anni ‘70 e ‘80, è stato l’ultimo tridentino a sedere tra gli scranni del Parlamento Europeo

Sospira, sornione e pungente, Giacomo Santini, 83 anni, per decenni popolare e versatile giornalista Rai e poi, dal 1994 fino al 2004, parlamentare europeo con Forza Italia: «Non che mi entusiasmi essere l’ultimo dei Mohicani, ma credo che ci rimarrò ancora a lungo…». Ultimo dei Mohicani nel senso che Santini è stato l’ultimo trentino a sedere tra gli scranni dell’Eurocamera di Bruxelles e Strasburgo: «Da vent’anni non eleggiamo più nessuno – ricorda l’ex spalla di Adriano De Zan nelle leggendarie telecronache di ciclismo degli anni ‘70 e ‘80 – e la colpa è dei partiti politici trentini. Servirebbe un cambio di mentalità, ma non lo vedo all’orizzonte».
Troppo provincialismo?
«Il fatto è che noi qui pensiamo che ci basti la nostra Autonomia per portare a casa le grandi opere pubbliche. Oppure che sia sufficiente aprire un ufficio provinciale a Bruxelles, che peraltro è una sede burocratica, non certo politica o diplomatica. Ma vallo a dire al nostro tessuto economico che vorrebbe contare di più e uscire dalla logica della piccola patria. Penso agli industriali, agli artigiani. Penso – da ex componente della commissione Trasporti del Parlamento europeo – agli autotrasportatori che vedono l’Austria bloccare i loro camion al Brennero».
Insomma, avere un parlamentare a Bruxelles conta…
«Se vuoi incidere, sì. Un bravo eurodeputato che ogni giorno va nelle commissioni del Parlamento europeo può far valere le istanze del territorio e portare finanziamenti. Attenzione, sviluppando però un profilo europeo, coltivando relazioni cosmopolite, pensando da europeo e non solo da trentino. Altrimenti passi per un lobbista di casa tua e non ti approvano neanche un emendamento».
Lei era di Forza Italia, ma con una vocazione più tecnica che politica…
«Credo che così dovrebbe essere per tutti gli europarlamentari. Non puoi fare bene il parlamentare europeo se sei anche dirigente di partito. Per essere un buon eurodeputato devi avere delle competenze di partenza, ma poi devi studiare tanto per approfondire tematiche complesse. Solo così puoi essere credibile e raggiungere qualche risultato. Nel 1994-99 fui l’eurodeputato più presenzialista. In Italia invece si tende a usare l’istituzione per la propria carriera di partito, la si politicizza declinandola sul piano nazionale. Anche in questa campagna elettorale, chi parla davvero di Europa? I candidati trentini dibattono perlopiù di temi locali».
Davvero non vede candidati trentini che ce la possono fare?
«Francamente non sono molto ottimista. Del resto, intendiamoci, per rivedere un trentino a Bruxelles devono proporsi due condizioni che oggi non ci sono».
Quali?
«Il Trentino ha 500mila abitanti e rispetto alle altre regioni più popolose della circoscrizione è penalizzato dal criterio proporzionale della legge elettorale. Quindi, delle due l’una: o uno dei grandi partiti nazionali decide di puntare come candidato di punta su un esponente trentino, in modo da fargli prendere voti anche nel resto della circoscrizione; oppure i partiti si uniscono e creano un cartello trasversale, indicando una personalità non divisiva che attragga i voti di tutti i trentini, sia di destra che di sinistra. Invece qui siamo pochi e continuiamo a farci la guerra. Dovremmo prendere esempio dagli altoatesini».
Favoriti però dalla legge elettorale delle Europee che tutela le minoranze linguistiche.
«Sì, loro un seggio lo hanno sicuro. Ma quando ero eurodeputato l’Alto Adige esprimeva tre parlamentari europei, mentre io ero l’unico trentino e siccome ero di Forza Italia, allora partito nuovo e non rappresentato in Consiglio provinciale, venivo pure osteggiato sul territorio. L’Alto Adige fa 500mila abitanti come noi, ma sa fare più squadra».
Allargando lo sguardo, lei come vede la prossima legislatura europea? Terrà lo storico asse popolari e socialisti, oppure i conservatori europei di Giorgia Meloni riusciranno a spostare a destra la coalizione?
«Ora non si possono fare previsioni certe. Una caratteristica delle istituzioni europee è che spesso saltano gli schemi preventivamente fissati. In Europa occorre essere elastici politicamente».
Alla fine dipende dai voti e dai pesi e contrappesi?
«Chiaramente sì e alla fine i popolari sanno che con i socialisti comunque devi accordarti. Lo dico da liberale: fatico a immaginare coalizioni alternative che si possano reggere. Ma nella prossima legislatura saranno centrali i temi. Con due guerre in corso, Ucraina e Medioriente, i contenuti ideali e valoriali saranno una conditio sine qua non di accordi e intese».