l'intervista

sabato 27 Settembre, 2025

Gaza, Alessandro Barbero: «Sarebbe bello che la rabbia della gente costringesse i governi ad aprire gli occhi»

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Lo storico ieri al Santa Chiara in un Teatro tutto esaurito: «La popolarità? Preferivo stare a casa a studiare con mia moglie. Ma è bello che tanti giovani mi conoscano»

La fama che il professore Alessandro Barbero, fino a poco tempo fa docente all’Università del Piemonte orientale, ha raggiunto, lo racconta il teatro Santa Chiara tutto esaurito da settimane. Novecento persone che in un baleno si sono accaparrate tutti i biglietti disponibili per la sua lezione, ieri sera, sulla Comune di Parigi organizzata dall’Arci del Trentino per celebrare i suoi 50 anni. Ma lo raccontano anche fatti più curiosi. Per esempio il momento nel pomeriggio, mentre il professore stava visitando la mostra organizzata da Arci sulle stampe della Comune collezionate dal fondatore dell’associazione trentina Ugo Winkler, in cui una signora gli si avvicina chiedendogli un selfie. «Sa io e una mia amica siamo sue grandi fan — dice a Barbero mentre gli si avvicina — Lei ha addirittura una coperta con il suo sorriso stampato sopra». Un complimento che lascia il professore a metà del guado tra lo stupore e la sorpresa. Del resto non è mai stato il suo obiettivo la popolarità. Quello che ha sempre voluto fare era raccontare la storia, i passaggi a lui più cari.

 

Come vive la notorietà?

«Sapere che tante persone, e tanti giovani, mi conoscono, è molto bello. Mi immaginavo di stare a casa con mia moglie a studiare e invece… (ride)».

 

Perché le è molto caro il tema della Comune di Parigi?

«È un tema caro a chiunque sia di sinistra, e magari sia nato nel Secolo scorso. Do per scontato che tanta gente, oggi, non sappia nulla della Comune di Parigi. La Comune di Parigi è uno di quei momenti in cui si vede, da un lato, l’enorme speranza che tanta gente metteva nell’Ottocento, ma anche nel Novecento, nell’idea del comunismo, di un mondo diverso in cui i poveri contassero qualcosa, e, dall’altro, l’enorme ferocia con cui i governi e la borghesia al potere hanno stroncato, nel sangue, questa speranza. Magari era anche una speranza ingenua, che si accompagnava alla violenza, come accade anche oggi, in cui manifestazioni sacrosante hanno anche dei momenti di violenza. E si cerca di far credere all’opinione pubblica che sono da colpevolizzare».

 

Uno dei punti di attualità della Comune, come ricorda la mostra, è quello della sofferenza verso gli affitti alti.

«Nell’Ottocento la suddivisione tra possidenti e proletari era qualcosa di molto più drammatico. È difficile dire se il ventunesimo secolo sia destinato a vedere imbarbarire la nostra società, per cui quella opposizione tra chi ha e chi non ha si accentuerà fino a diventare com’era allora. Certo, allora, era terribile: era naturale che un governo che voleva essere vicino al popolo decidesse di abbonare qualche mese di affitto».

 

Dalla Comune nascono le grandi lotte sociali, ma adesso le disuguaglianze tornano a crescere: abbiamo perso quei diritti o l’uguaglianza era un’illusione?

«L’uguaglianza era legata a diritti conquistati, garantiti, poi si è scoperto che bisogna continuare sempre a difenderli. Ma c’è anche una tendenza economico-sociale di fondo: la ricchezza crescente dei ricchi, il peso sempre maggiore dell’eredità nella ricchezza, la crescente difficoltà di uscire da un condizione di povertà».

 

Tra il pubblico sono spuntate bandiere della Palestina: la Storia come guarderà a ciò che sta succedendo a Gaza?

«È difficile dirlo: prevedere il futuro non si può. Sarebbe bellissimo se la Storia dicesse che è stato un momento in cui la rabbia della gente ha costretto i governi e le classi dirigenti ad aprire gli occhi quando volevano chiuderli e a fare delle cose che non volevano fare. Sarebbe bellissimo che la Storia dicesse che Israele ha dimostrato di essere veramente una democrazia perché la popolazione di Israele, in maggioranza, si è ribellata. Di questo, adesso, ci sono piccolissimi sintomi. Sarebbe molto bello se la Storia dovesse ricordare questo, e non l’ennesimo sterminio per cui ci si strapperà i capelli a cose fatte».