la lanterna magica
giovedì 16 Ottobre, 2025
Dalla voce della morte di Hind Rajab alla malinconia della pianura veneta: i film da non perdere al cinema
di Michele Bellio
Tra le perle da recuperare «Provaci ancora, Sam» e l'evento speciale dedicato a un «Ritorno al futuro»

LA VOCE DI HIND RAJAB
(The Voice of Hind Rajab, Tunisia/Francia 2025, 89 min.) Regia di Kaouther Ben Hania, con Saja Kilani, Amer Hlehel
Premiato alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con il Leone d’Argento, Gran Premio della Giuria, dopo una proiezione caratterizzata da quella che è forse la più lunga standing ovation che un festival ricordi (24 minuti), La voce di Hind Rajab è uscito nelle sale italiane lo scorso 25 settembre, all’apice dello sconvolgente intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza e prima della tregua recentemente firmata. Il successo di Venezia e la situazione internazionale hanno portato in sala un numero di spettatori piuttosto significativo, spingendo il film a superare il milione di euro di incasso, un risultato notevole se si considera che la proiezione avviene in lingua araba con sottotitoli italiani. Doppiare il film, infatti, era impossibile, perché la narrazione è interamente costruita intorno ad un documento audio autentico: quella che sentiamo nel film è la vera voce degli ultimi istanti di vita di Hind Rajab, una bambina palestinese di 6 anni, unica superstite rimasta intrappolata nell’auto dei suoi zii, crivellata di proiettili dopo essere stata colpita da un carro armato. Noi spettatori di tutto questo non vediamo nulla, esattamente come i protagonisti del film, che sono gli operatori della Mezzaluna Rossa palestinese (l’equivalente della Croce Rossa). Alla loro sede, che si trova in Cisgiordania, il 29 gennaio del 2024 arriva la chiamata che li terrà in costante contatto con la piccola. Un contatto fatto di incoraggiamenti, promesse, preghiere, domande e risposte. Nel frattempo le ore passano, cercando nella frustrazione generale di oltrepassare l’assurda burocrazia che dovrebbe portare l’ambulanza ad avere un percorso sicuro per procedere al recupero della bambina. Gli operatori, stanchi e disperati nel vedere i propri sforzi infrangersi contro la brutalità del conflitto, si sforzano in tutti i modi di salvare la piccola, arrivando a litigare fra loro, a sondare strade alternative, cercando continuamente di non lasciare che Hind si arrenda. La voce della piccola, recuperata dai file di archivio su concessione della famiglia, è straziante. Scioccata, spaventata, circondata dai cadaveri dei suoi parenti, fatica a capire cosa sia successo e le domande che le sono rivolte: è piccola, ha paura, chiede continuamente che la si vada a prendere, propone soluzioni inattuabili con l’innocenza che è tipica della sua età, non vuole che scenda il buio, non vuole restare sola. La forza del film sta tutta in questa voce. Il contorno è un’abile ricostruzione di quanto avvenuto nella sede della Mezzaluna Rossa, che ben mostra l’impatto emotivo della situazione, ma passa in secondo piano rispetto alla potenza della testimonianza. Al di là, in ogni caso, della qualità complessiva del risultato ed anche delle (comprensibili) riflessioni sull’utilizzo di un tale strumento all’interno di un’opera cinematografica, si tratta di un film da vedere, in primo luogo perché ci pone direttamente di fronte ad una situazione che è necessario affrontare con consapevolezza, in secondo luogo perché non può esistere al mondo una bambina, iscritta ad una scuola materna che si chiama «La felicità dell’infanzia», costretta a subire ciò che è successo a Hind Rajab. Sui giustamente sobri titoli di coda, il silenzioso pubblico in sala era comprensibilmente in difficoltà ad abbandonare il proprio posto.
LE CITTÀ DI PIANURA
(Italia/Germania 2025, 100 min.) Regia di Francesco Sossai, con Filippo Scotti, Sergio Romano, Pierpaolo Capovilla, Andrea Pennacchi
Presentato al Festival de Cannes nella prestigiosa sezione Un Certain Regard, il secondo lungometraggio del regista feltrino, classe 1989, è un vero gioiello che merita di essere gustato in sala. Siamo sperduti nella pianura veneta, qui facciamo la conoscenza di Carlobianchi e Doriano, due cinquantenni spiantati e alcolizzati che vagano allo scopo di «bere l’ultima», mentre attendono che il mattino seguente un loro vecchio amico atterri all’aeroporto (anche se non sanno bene quale). Il loro pellegrinaggio alcolico li porta a Venezia, dove ad una festa di laurea conoscono Giulio, giovane, serio e impacciato studente di architettura. Lo strano terzetto inizierà da quel momento un viaggio sui generis attraverso varie località remote del Veneto, tra bevute, mangiate, situazioni paradossali (la visita alla villa del conte) e incontri surreali. Giulio capirà qualcosa di più sui suoi nuovi amici e forse anche su stesso. Divertente e sorprendentemente delicata, nonostante sia in definitiva un film profondamente malinconico, questa versione aggiornata e alcolica de Il sorpasso fa i conti con un’Italia che si è scordata da tanto il boom economico e rimpiange con nostalgia il benessere degli anni Novanta. L’unica soluzione di fronte ad un Paese che ha masticato e poi sputato la sua classe operaia (i protagonisti lavoravano in una fabbrica che ricorda Luxottica) sembra quella di consumare la vita senza ritegno, in un’autodistruzione sistematica che per assurdo appare alla fine poetica ribellione. Non c’è assoluzione in realtà, come dimostra la storia del Genio, e il personaggio di Giulio matura pur restando conscio dei valori che porta con sé. Il risultato è un film magicamente equilibrato, splendidamente musicato e inframmezzato da suggestive carrellate laterali che si perdono sulla desolazione della campagna veneta, mentre alcune delle battute più efficaci degli ultimi anni ci mettono di fronte all’Italia di oggi («Questa regione diventerà una gigantesca infrastruttura, un modo per raggiungere velocemente ogni luogo, senza più nessun luogo da raggiungere»), come il gelato che rivela mentre lo si gusta un inaspettato e gradevole sapore. Straordinario il lavoro sulle location e incredibilmente azzeccato il cast, con una menzione speciale per il Doriano di Pierpaolo Capovilla, fondatore de Il Teatro degli Orrori.
EVENTO SPECIALE – QUARANTESIMO ANNIVERSARIO
RITORNO AL FUTURO
(Back to the Future, USA1985, 115 min.) Regia di Robert Zemeckis, con Michael J. Fox, Christopher Lloyd
Il 21 ottobre, data simbolica in cui Marty e Doc arrivano nel futuro nel secondo capitolo (anche se era il 2015), le sale aderenti in tutta Italia proietteranno nuovamente l’immortale capolavoro del cinema americano degli anni Ottanta in occasione dei quarant’anni dalla sua uscita in sala. L’evento è da non perdere, anche per rendersi conto di come il film non sia invecchiato per niente e continui ad essere fonte di ispirazione per molti registi, così come Zemeckis continua ancora oggi ad essere uno straordinario sperimentatore, che molto ha regalato al cinema contemporaneo. La trama è nota. Marty McFly vive con una famiglia non proprio felice: la madre è depressa, alcolizzata e sovrappeso, il padre è ancora vittima del bullo della scuola, che oggi è il suo capo, fratello e sorella non sono messi meglio. Marty è pigro ma buono, sogna di diventare una rockstar e ha una fidanzata. Il folle scienziato Doc, suo caro amico, gli confessa di aver creato una macchina del tempo adattando una DeLorean e, a causa di una serie di imprevisti, Marty finisce per sbaglio nel 1955. Qui non solo dovrà trovare il modo di tornare indietro, ma dovrà anche fare attenzione a non compromettere il proprio futuro, dato che per sbaglio la sua giovane madre si innamora di lui… Una girandola di situazioni geniali e divertenti, realizzata con un ritmo ineguagliabile e ricca di sequenze rimaste nell’immaginario collettivo. Sorretto da una colonna sonora mitica, che va da The Power of Love a Johnny B. Goode, il film è un inno alla magia del cinema, un’avventura travolgente che ancora oggi trascina e diverte, da rivedere per gli affezionati e assolutamente da scoprire per i neofiti.
STREAMING – PERLE DA RECUPERARE
PROVACI ANCORA, SAM
DISPONIBILE SU SKY E NOW TV
(Play It Again, Sam, USA 1972, 85 min.) Regia di Herbert Ross, con Woody Allen, Diane Keaton
L’inattesa scomparsa di Diane Keaton, attrice straordinaria e donna libera e coraggiosa, mi spinge a recuperare il primo film in cui lei e Woody Allen, in seguito suo compagno per molti anni e autore in questi giorni di una commovente lettera d’addio, lavorarono insieme. Tratto dallo spettacolo teatrale di Broadway scritto dallo stesso Allen e per la quale la Keaton fu scritturata, il film è diretto da Herbert Ross, solido professionista newyorkese che ha firmato numerosi titoli nell’arco di una carriera quasi trentennale. La trama racconta le disavventure amorose di Allan Felix, detto Sam, critico cinematografico appena lasciato dalla moglie, che su consiglio di una coppia di amici cerca di trovare una nuova compagna. Ogni volta però, spinto anche dal fantasma di Humphrey Bogart, che gli spiega come comportarsi da vero uomo, la goffaggine di Allan prende il sopravvento e ogni incontro si rivela un disastro. Fino a quando non si rende conto che l’unica donna con la quale si sente a suo agio ad essere se stesso è proprio la compagna del suo migliore amico, come andrà a finire? Divertente, romantico, assolutamente geniale nelle trovate e nei dialoghi, il film è una gioia per i cinefili e contiene sia gli elementi caratteristici dell’umorismo alleniano del primo periodo, sia la componente sentimentale che crescerà esponenzialmente nei capolavori da lui diretti negli anni successivi, con Diane Keaton come protagonista. Un film da riscoprire per conoscere le origini di un’indimenticabile icona della settima arte.