La rubrica
lunedì 29 Settembre, 2025
Dal premio come miglior documentario «Yalla Parkour» alla guerra in Ucraina vista con gli occhi di una bambina in «L’azzurro in alto e l’oro dentro»: cosa vedere al cinema
di Michele Bellio
E per i più piccini, ma non solo, il lungometraggio animato «The light of the World» che racconta la vita di Gesù

YALLA PARKOUR
(Svezia/Qatar/Arabia Saudita/Palestina 2024, 74 min.) Regia di Areeb Zuaiter, con Ahmed Matar
Premiato a Trento come miglior documentario, dopo essere stato presentato su palcoscenici prestigiosi come la Berlinale e il Giffoni Film Festival, il lungometraggio d’esordio della regista palestinese è un toccante racconto sulla memoria, la nostalgia, il senso dell’identità connesso alle proprie origini. Nata in Cisgiordania, la regista ha lasciato la Palestina da bambina negli anni Ottanta e oggi vive tra gli Stati Uniti e la Giordania. Da piccola, quando ancora era possibile, tornava spesso con i genitori a trovare i parenti e in una di quelle occasioni, a Gaza, vide per la prima volta il mare. Di quel magico momento si porta nel cuore lo sguardo felice della madre, il cui sorriso è andato spegnendosi lentamente nel corso degli anni trascorsi lontani da casa. Presa dalla nostalgia, la regista trova online i video del gruppo di parkour di Gaza e decide di contattare gli atleti. In particolare crea un rapporto a distanza con il giovane Ahmad Matar, che condivide con lei tutti i video realizzati per documentare le attività del gruppo. In questo dialogo a distanza trova spazio un forte paradosso, Ahmad si sente in prigione, ama la sua terra ma vorrebbe andare via, Areeb ha bisogno di ritrovare nelle immagini di Gaza la serenità della sua infanzia. Gli anni passano, le cose si complicano, fino a quando Ahmad riesce ad ottenere un visto per recarsi in Svezia, dove risiede ancora oggi e dove ha ottenuto la cittadinanza. La regista riprende lo spazio attorno alla sua casa negli Stai Uniti, la neve che cade dal cielo, la pioggia, le strade. Le immagini occidentali, descritte come un sogno irraggiungibile ad Ahmad, si alternano alle spettacolari acrobazie degli atleti di Gaza. Giovani che sfidano le leggi della gravità per provare a sentirsi liberi, per dimostrare a se stessi di essere in grado di oltrepassare i propri limiti. Talvolta a rischio della loro stessa vita. Lo sfondo delle loro imprese mostra gradualmente la distruzione del Paese, anche se le riprese sono di molto antecedenti alla disastrosa situazione attuale. Lo scheletro dell’aeroporto è lì, a testimoniare una libertà negata già da tempo. E quella spiaggia oggi non è più il luogo dei sorrisi e degli sguardi colmi di speranza, ma il fulcro della memoria dolorosa, della nostalgia, del rimpianto: un luogo che ormai appartiene solo alle menti di chi lo ricorda per come era. Un film struggente, poetico e sincero.
MAR MOUSSA
(Mar Moussa – Une Lumière, Francia 2024, 52 min.) Regia di Justine Aurelia Malle
80 km a nord di Damasco, in Siria, sorge l’antico monastero di Mar Musa, dedicato a San Mosè l’Etiope. Fondato in epoca romana, il luogo fu ornato da una chiesa contenente splendidi affreschi risalenti all’XI e XII secolo. Nel corso dei secoli la struttura fu dimenticata ed abbandonata, fino a quando il monastero fu riscoperto nel 1982 dal gesuita italiano padre Paolo Dall’Oglio, che in seguito creò la «Comunità monastica al-Khalil di Deir Mar Moussa al-Habashi» e si occupò di far restaurare la chiesa e di costruire una realtà basata sul dialogo interreligioso, in particolare fra cristiani e mussulmani. A causa di queste idee e del suo attivismo politico, padre Dall’Oglio era inviso al regime di Assad e, dopo l’inasprirsi della guerra civile, scomparve nel 2013 a Raqqa, forse per mano di fondamentalisti islamici. Il documentario, però, non è dedicato alla sua storia, citata solo marginalmente, ma si concentra sull’esperienza connessa al luogo, cercando di comprendere il significato della realtà costruita dal gesuita, la forza dell’idea di dialogo che sta alla base di chi si reca in pellegrinaggio in questa zona remota, oggi nuovamente raggiungibile dopo i difficili anni del conflitto. La regista ha raccolto per anni testimonianze di persone che a partire dagli anni Ottanta hanno trovato in questo luogo mistico una risposta alle tante domande della propria esistenza. Qui chiunque è benvenuto, l’unica richiesta è quella di contribuire alle faccende domestiche, ma non c’è limite di permanenza per chi vuole fermarsi. La splendida chiesa è arredata in modo tale da permettere la convivenza tra culti e gli stessi momenti di preghiera tengono conto delle esigenze dei diversi credi. Nel 2023 la stessa regista si reca finalmente sul posto e cerca di catturare qualcosa di inafferrabile. Qualcosa che spinge alla riflessione, all’introspezione, alla ricerca spirituale condivisa con gli altri. Il documentario ha una struttura rudimentale, quasi come un diario personale, ma riesce a restituire l’incanto del luogo, lo spirito della comunità, il ricordo di padre Dall’Oglio. E offre uno sguardo pacifico di cui oggi si sente molto bisogno.
L’AZZURRO IN ALTO E L’ORO DENTRO
(Italia 2024, 78 min.) Regia di Pepi Romagnoli, con Valeria Gavrylyuk
Valeria ha 9 anni. Quando in Ucraina è scoppiata la guerra, insieme alla madre e al fratellino si è rifugiata a Milano, dove la nonna già viveva. Qui ha trovato una nuova dimensione: conosceva la lingua grazie agli insegnamenti ricevuti durante le vacanze con la nonna, si è inserita bene a scuola e, soprattutto, ha trovato il contesto giusto per coltivare il sogno della sua vita: diventare campionessa e poi allenatrice di ginnastica ritmica. L’Italia è diventata la sua casa, ma la nostalgia per l’Ucraina resta forte, soprattutto perché il padre, macellaio e giocatore di hockey, è rimasto lì, impossibilitato a partire. I videomessaggi che li tengono in contatto costituiscono i momenti più toccanti del film, che racconta con partecipazione la quotidianità di una bambina strappata dal suo mondo, ma capace di ricostruire un equilibrio grazie a un obiettivo chiaro e alla volontà di inseguirlo. Pur con qualche eccesso di scrittura, Romagnoli dimostra sensibilità nel restituire sia la dimensione onirica del desiderio di Valeria, sia la concretezza della sua nuova quotidianità, sostenuta dalla famiglia, dagli amici e da una figura centrale: l’allenatrice, ex campionessa romena, con la quale si crea un rapporto narrato con delicatezza, a suggerire la possibilità di andare oltre barriere culturali e storie personali per crescere insieme. Il momento della premiazione, in cui Valeria indossa i colori della bandiera ucraina, assume così un significato che va oltre il nazionalismo: rappresenta l’identità stessa di una bambina che con coraggio compone i tasselli della propria vita, sospesa tra radici e futuro.
THE LIGHT OF THE WORLD
(USA 2025, 84 min.) Regia di John J. Schafer, Tom Bancroft
Firmato da due esperti professionisti del mondo dell’animazione e realizzato con un budget di 20 milioni di dollari, «The Light of the World» è un lungometraggio animato che racconta la vita di Gesù attraverso gli occhi del suo giovanissimo discepolo Giovanni. Nell’ambito di un prodotto, per dichiarazione degli stessi autori, destinato all’evangelizzazione, il film ha in sé una serie di elementi che lo rendono godibile ed anche sorprendentemente approfondito, considerando l’esigua durata. Graficamente snello ed essenziale, con una piacevole animazione bidimensionale che alterna immagini più astratte nella raffigurazione dei racconti e delle parabole, ad altre di estetica più televisiva, il film azzecca la scelta del punto di vista, ponendoci nei panni di un Giovanni preadolescente che spera nell’arrivo del Messia, soffre per le imposizioni romane e si sente inadeguato ad aiutare il padre e il fratello Giacomo, pescatori. Preoccupato proprio per l’indebitato genitore, decide di cercare Gesù e si reca al fiume Giordano, dove per caso incontra il Battista (il cui divertente ritratto di uomo a contatto con la natura molto deve alla passata esperienza Disney di Bancroft), che li indirizza al matrimonio di Cana. Qui Giovanni incontra il suo Maestro e assiste al primo miracolo. Salvato il padre dai soldati romani, Giovanni, Giacomo e i loro vicini Andrea e Pietro decidono di seguire Gesù insieme agli altri apostoli e a Maria Maddalena. La narrazione procederà poi fino all’Ascensione, ma sempre con lo sguardo filtrato dal giovane discepolo, che si aspettava un Messia guerriero in grado di cacciare i romani, e invece deve confrontarsi con concetti complessi come la glorificazione, il perdono, il sacrificio. Fedele nello sviluppo, il film scorre con notevole capacità di coinvolgimento, inserendo molteplici riferimenti anche ad episodi meno noti (il ruolo di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea, la guarigione del servo del centurione romano…) e non dimenticando passaggi simbolicamente molto forti (la conversione di Matteo, il buon Samaritano, Pietro che rinnega Gesù, il tradimento di Giuda), fino a mettere in scena con rispettoso ma potente coraggio il momento della crocifissione. La storia più narrata al mondo si riveste così di uno sguardo capace di renderla nuova, soprattutto per il giovanissimo pubblico per cui è costruita. Senza particolari voli, né eccezionali trovate visive (anche se le sequenze in acqua, battesimo di Gesù incluso, sono notevoli e l’uso delle ombre molto efficace), ma con la giusta consapevolezza di narrare eventi già tendenzialmente noti al solo scopo di renderli comprensibili e appassionanti.