L'esposizione
sabato 28 Giugno, 2025
Cles, le opere di Tamanini in mostra per celebrare l’arte di sbagliare. «L’errore? È possibilità, un’occasione per mettersi in discussione»
di Stefania Santoni
L'esposizione «Se non sbaglio» dell’artista visiva e multidisciplinare, curata da Marcello Nebl, è visitabile alla Galleria Batibōi

Una grammatica del disordine, un lessico dell’errore, una partitura di fili e suoni fuori spartito. La mostra «Se non sbaglio» dell’artista visiva e multidisciplinare Nadia Tamanini, curata da Marcello Nebl, è inaugurata sabato 28 giugno a Cles alle ore 18 alla Galleria Batibōi, in concomitanza con «Reti», il progetto espositivo di Palazzo Assessorile dedicato alla cultura retica. Due mostre che, pur nella loro autonomia, sembrano risuonare in dialogo: tra tessitura e trama sociale, tra segno e struttura.
La pratica di Tamanini, stratificata e polifonica, si muove tra poesia visiva e sonora, arte tessile e installazione. È una ricerca che abita la soglia, quella zona di confine tra senso e non-senso, tra dentro e fuori, tra margine e centro. Una soglia che non cerca una risposta univoca, ma si fa domanda aperta: «La mostra si concentra sulla dimensione dell’errore come opzione aperta, come possibilità, come soglia di messa in discussione», racconta l’artista. «La mia riflessione parte dal concetto di sistema e si sviluppa attraverso modalità, linguaggi, materiali e ambiti di indagine differenti». È proprio nella molteplicità dei linguaggi che si innesta il cuore della sua ricerca. Dal campo linguistico a quello musicale, dalle strutture poetiche a quelle fisiche della materia, ogni installazione è un taglio e una cucitura, un inciampo che si fa cammino.
«Mi muovo dal campo della linguistica e della grammatica linguistica e poetica a una dimensione più musicale, la musica viene attraversata da un punto di vista di impianto strutturale e sonoro». Nello spazio espositivo si incontrano cartamodelli, fili, corde, spilli, chiodi, ma anche suoni, parole, silenzi. Tutto si tiene, tutto si sfalda e si ricuce. L’installazione di poesia sonora – uno dei poli centrali della mostra – lavora su una sovrapposizione di elementi verbali e sonori, in una sorta di partitura scomposta: «Nel caso della poesia sonora è scritta ma anche ricalca altre registrazioni come acqua che scorre o lo sciacquone di un wc, una sorta di preghiera laica con vena ironica che, con sovrapposizioni sonore tra vuoti e pieni, fa acqua da tutte le parti». L’errore, qui, non è solo un tema: è una modalità compositiva, una pratica di senso.
«È come se il testo andasse a corrispondersi alla maniera che ho usato per costruire questa dimensione sonora e richiama sia il senso che il significato del modo di rappresentarlo». L’intera mostra è attraversata da una tensione che non cerca equilibrio, ma relazione. Una tensione che mette in discussione ogni binarismo: «Per me è fondamentale collocarsi in una dimensione di interrogativo su quello che prendiamo a volte troppo per scontato: vero e falso, giusto e sbagliato, normale e anormale, dritto e rovescio, sano o malato». Tamanini non semplifica, non ordina, ma stratifica: usa il linguaggio come un corpo, e il corpo come linguaggio. «Uso diversi linguaggi per mettere me stessa in discussione, per riuscire ad andare nella stratificazione di diverse questioni che dal mio punto di vista non sono una separata dall’altra ma si richiamano e corrispondono». È in questo nodo – fatto di relazioni e disallineamenti – che si apre la riflessione sulla diversità e sull’alterità. L’errore non è un difetto o una mancanza, ma una possibilità: «La dimensione dell’inciampo, dell’inghippo, dell’imprevisto, del non già pensato e non già visto è un obiettivo da perseguire come possibilità di apertura di nuove strade da percorrere e di incontro con tutto ciò che è l’alterità».
Alterità che può essere neurosistemica, musicale, corporea, sociale. Anche le installazioni realizzate per Palazzo Assessorile si muovono lungo queste coordinate: prassi, materia, struttura. «Per le due installazioni a Palazzo Assessorile ho lavorato sul concetto di praxis, sulla dimensione di divergenza: sia come attività manuale – il fare a maglia come pratica costante progressiva non finita – sia come dimensione neurologica e quindi come intreccio disturbato, visto e intravisto, annodato e sciolto». Qui, la manualità si fa pensiero, e il gesto diventa luogo di contatto tra cervello e corpo, tra equilibrio e sbilanciamento. Ferro e filo si intrecciano, evocando tanto le pratiche tessili quanto quelle retiche, in una risonanza culturale e sensibile. Non è un caso che, nel titolo della mostra, si annunci una possibilità, ma anche un dubbio: «Se non sbaglio». Un’espressione che è, al tempo stesso, esitazione e apertura, una finestra che non si chiude. «Dalla mostra mi aspetto che le persone si portino a casa curiosità, un disorientamento riorientante», conclude Tamanini.
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