Musica
sabato 20 Dicembre, 2025
Cinque dischi da regalare a Natale
di Redazione
Dal ritorno degli Aerosmith alla polifonia di «Amuri luci»: i consigli della redazione per regali da fare a chi ama la musica
Aerosmith & Yungblud – One More Time
(Di Gabriele Stanga)
Il «miracolo di Natale» quest’anno lo fa Yungblud. E lo fa riportando gli Aerosmith sulle scene musicali. Un miracolo doppio, con buona pace di chi ha bollato il disco come un fallimento o «rock da filtro instagram». Doppio perché da un lato «One More time», così si chiama l’Ep che Aerosmith e Yungblud hanno fatto uscire il 5 dicembre, è il primo rilasciato dalla band di Boston in 12 anni, dall’altro, perché il cantante Steven Tyler non avrebbe più dovuto avvicinarsi al microfono.Era il 3 agosto 2024 quando il chitarrista Joe Perry annunciava la cancellazione del tour d’addio della band: una lacerazione permanente alle corde vocali avrebbe impedito a Tyler di esibirsi per il resto della sua vita. Sembrava la fine dello Screamin’ Demon, una delle voci più belle e iconiche della storia del rock: niente più Dream on, niente più Cryin’, Crazy, I don’t wanna miss a thing. E invece no, perchè re Steven ha deciso di ignorare i presagi nefasti e tirare fuori dal cilindro la sua decima vita, consumate le nove di Nine Lives (vecchio disco degli Aerosmith). E di mezzo ci si è messo anche un ragazzo dello Yorkshire di 28 anni, che dopo l’investitura ufficiale da parte di Ozzy Osbourne, si porta a casa un altro attestato di stima.
In pratica, si rassegnino i detrattori, Yungblud ha raccolto il testimone del rock‘n’roll. Ed eccoci a One More Time. È l’album rock dell’anno? No, ci sono gli Spiritbox, gli Sleep Token, l’esordio degli Asava, Idols dello stesso Yungblud e soprattutto i Bad Omens. Ma è sicuramente un bel disco: la voce di Steven Tyler rimane sul solito altissimo livello, a metà tra la coccola e lo schiaffo in faccia. Quella di Yungblud si unisce con rispetto e regge il confronto pur senza strafare. Sedi brani, di cui 4 inediti, una reinterpretazione del classico Back in the saddle e una versione a tre del singolo Wild Woman con l’artista country Laney Wilson, altra aggiunta interessante. Il ritorno del classic rock con una nuova verniciatura.
Nick Cave and the Bad Seeds – Live God
(Di Luca Galoppini)
Il 2025 segna il ritorno dei live in cofanetto, optando (spesso) per un’operazione nostalgia che, non sempre, ha portato risultati memorabili. Tra vari compitini e qualche picco discreto, per fortuna c’è qualcuno che decide di regalare ai propri fan un’opera che abbia ancora un senso compiuto. Non la solita accozzaglia di greatest hits, né l’ennesimo cimelio da collezione che finisce a prendere polvere sugli scaffali. Tranquilli, con Nick Cave, si va sul sicuro. In «Live God», accompagnato dai suoi Bad Seeds, l’artista australiano ricorda a tutti come si fanno i concerti dal vivo: niente scenografie ipertrofiche, niente balletti, solo ottima musica, suonata (per davvero) dal vivo, per una volta, come una volta. Nei 18 brani dal vivo tratti dall’ultimo tour europeo – con una data soldout al forum di Assago, a Milano, il 20 ottobre dell’anno scorso – l’artista australiano propone sia brani dall’ultimo lavoro in studio, «Wild God», e pezzi storici come «Papa ‘Won’t leave you, Henry» e «Red Right Hand». L’album cattura la natura trascendentale e selvaggia di quei concerti indimenticabili, che, nelle stesse parole di Nick Cave, sono stati «un antidoto alla disperazione». Cari avventurieri, buon viaggio nelle terre oscure di uno degli artisti più grandi della nostra contemporaneità e che soprattutto, specie negli ultimi anni, sta ottenendo il successo che merita.
E per chi volesse andarlo a vedere dal vivo, nel proseguimento del «Wild God Tour» in Europa, è già in programma l’unica data italiana. Venerdì 26 giugno 2026 Nick Cave e i suoi Bad Seeds saranno infatti gli headliner della seconda data de «La Prima Estate Festival ‘26», al Lido di Camaiore, in provincia di Lucca (presenti sul palco anche gli Sleaford Mods ed Emilìana Torrini).
The Rumpled – The Fallen
(Di Massimiliano Moser)
Con «The Fallen», il nuovo Ep dei The Rumpled, i trentini confermano di saper rinnovare il proprio celtic-punk folclorico e festaiolo senza perdere coerenza e riconoscibilità. Nei sei brani che compongono il lavoro, la band affina ulteriormente la propria formula, fondendo l’energia immediata del punk con atmosfere folk-rock più riflessive e strutturate. Il risultato è un Ep compatto ma dinamico, capace di alternare momenti di pura adrenalina a passaggi più intimi e narrativi, sempre sostenuti da ritmi incalzanti e melodie trascinanti. L’interplay tra violino, fisarmonica e chitarre resta uno dei punti di forza del gruppo, creando un tessuto sonoro ricco e coinvolgente che accompagna l’ascoltatore dall’inizio alla fine. Brani come «I will stay» e «Hearts and bones» mettono in luce il lato più emotivo dei Rumpled, dimostrando come il folk-rock possa essere declinato anche in chiave sentimentale senza perdere intensità. «You get me so high», invece, è emblema della capacità della band di passare con naturalezza da atmosfere più raccolte a esplosioni di ritmo dal forte impatto, ideali per il contesto live.
L’Ep si muove così tra pezzi dal piglio «punk scatenato» e momenti dal sapore più melodico e cantabile, evidenziando una maturità compositiva in crescita e una maggiore cura negli arrangiamenti: la produzione restituisce un sound potente ma mai caotico. «The fallen» funziona sia in cuffia sia come ideale colonna sonora per un live set esplosivo, confermando la forte attitudine da palco della band. Nel panorama della discografia dei Rumpled, già apprezzati per Ep come «Straight ahead» e «Dancing scars», questo nuovo lavoro rappresenta un ulteriore passo avanti, un progetto convincente per chi cerca un mix di energia, tradizione e spirito punk racchiuso in un formato compatto ma incisivo.
Carmen Consoli – Amuri luci
(Di Claudia Gelmi)
Fin dalle prime note scandite dalla sua evocativa chitarra e dalla sua voce riecheggiante antiche confessioni, la sensazione è quella di varcare una soglia sonora che conduce dentro una raffinatezza ancestrale, un canto antico e immortale. Nel suo nuovo album «Amuri luci», Carmen Consoli accompagna chi l’ascolta in un viaggio nel cuore delle radici siciliane e della cultura mediterranea classica e contemporanea. Radici di cui si sono nutrite sia la sua identità che la sua poetica e che ora la cantautrice catanese trasfigura e restituisce sotto forma di nobile musica, con la padronanza dell’artista che ha raggiunto il traguardo del pieno splendore creativo.
Le undici tracce di «Amuri luci» si ascoltano come un racconto corale. Consoli le canta nella sua lingua madre sfoderando una potenza seducente, aggiungendo al siciliano via via stratificazioni di arabo, latino e greco, a riprodurre una polifonia culturale frutto di un sofisticato lavoro di ricerca che ripercorre la storia secolare della sua terra natìa. È un viaggio che, facendosi, fa salire a bordo storie di vite, culture e struggenti sentimenti: dall’omaggio a Giovanni Impastato, fratello di Peppino, proprio nel brano «Amuri luci», a quello al grande poeta arabo-siciliano Ibn Hamdis in «La terra di Hamdis» in duetto con Mahmood; dal sempiterno strazio della guerra in «Mamma tedesca» alla rilettura del mito in «Bonsai #3» e «Galáteia»; dall’inno alla ribellione di «Parru cu tia» cantata con Jovanotti all’evocazione, con il tenore Leonardo Sgroi, di Nina da Messina, la prima donna a scrivere in volgare, nel brano «Qual sete voi?».
Con l’album «Amuri luci» si consacra dunque – qualora ci fosse bisogno di una conferma – il talento della cantautrice e polistrumentista: un talento circolare, che si compie sia sul piano dell’esecuzione musicale e di una poderosa vocalità, che su quello della ricerca della parola, che si fa figurazione letteraria.
Chanticleer – Joy to the world
(Di Annely Zeni)
Il 20 gennaio prossimo sarà ospite della fondazione Filarmonica nella Sala di Via Verdi per l’inaugurazione della stagione cameristica trentina: si tratta del gruppo vocale statunitense Chanticleer, definito dal New Yorker «un’orchestra di voci». Dodici cantanti straordinari, dodici «galletti», che avrebbero tutte le ragioni per essere vanitosi, come il magnifico gallo dei «I racconti di Canterbury» da cui prendono il nome, considerando i cori esultanti nel sottolinearne la «precisa intonazione, purezza d’insieme, ricchezza timbrica e disinvoltura stilistica». Nell’attesa della serata trentina ma soprattutto del Bambin Gesù, sotto l’albero potrebbe sicuramente ben figurare (anzi, highly recommended) il loro ultimo album: «Joy to the world» uscito per la Delos Productions, storica etichetta discografica americana di musica classica. «In “Joy to the world”, rendiamo omaggio alla secolare tradizione della musica corale natalizia cantando mottetti composti da alcuni dei più grandi compositori rinascimentali: Michael Praetorius, Giovanni Pierluigi da Palestrina e Cristóbal de Morales. Includiamo anche molti canti natalizi senza tempo, melodie familiari con testi che risuonano attraverso le generazioni. Tuttavia, poiché si tratta di Chanticleer, offriamo una nuova prospettiva a ciascuno di essi» scrive Tim Keeler, direttore musicale del complesso.
E dimostrando tutta la straordinaria versatilità del gruppo, le tracce del cd si completano pure di brani contemporanei dedicati alla sua specifica vocalità. Attenzione però: non aspettatevi spacconate americane! L’album è una collezione di vocalità raffinata, dove arrangiamenti e nuove composizioni restituiscono atmosfere decisamente spirituali: per tutti, si annotino i celeberrimi «O come, all ye faithful» o «Silent night», magici!
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