L'esperto

venerdì 1 Marzo, 2024

Cina, Pieranni: «Xi Jinping ha più potere di quanto ne avesse Mao Zedong. Taiwan non sarà l’Ucraina d’oriente»

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Il giornalista e scrittore presenta oggi alle 18 alla libreria Due Punti il suo nuovo libro «Tecnocina»: «Il paese è diventato una super potenza tecnologica. Vi spiego come ci è riuscito»

Drago nascosto o tigre accovacciata? La Cina sembra spesso essere il convitato di pietra del mondo. Così influente eppure così distante. Ancora rurale nei villaggi più sperduti di un paese così vasto, eppure così avanzata nelle sue metropoli da sembrare un manifesto della teoria accelerazionista. Istanze di innovazione che a loro volta cozzano con le posture totalitarie e repressive imposte dal partito. Per comprendere un paese così complesso serve un esperto. Fortuna che a Trento arriva Simone Pieranni. Giornalista, ha vissuto in Cina dal 2006 al 2014 fondando l’agenzia di stampa China Files. Ora è la voce di Altri Orienti, ascoltatissimo podcast sull’est del mondo. Nel suo ultimo libro, Tecnocina che sarà presentato questa sera alle 18 alla libreria Due Punti di Trento, racconta la storia della Cina attraverso il comune denominatore del suo sviluppo tecnologico.
Pieranni, il filo conduttore attraverso cui nel suo libro ripercorre le tappe della storia cinese dal secondo dopoguerra ad oggi sono la scienza e la tecnologia? Perché?
«Perché nel 2019 quando gli Stati Uniti annunciarono che la Cina era avanti nella tecnologia delle reti 5G ci siamo accorti per la prima volta che il paese orientale fosse una super potenza tecnologica. Ed è quasi sembrato che sia accaduto tutto all’improvviso, in realtà la Cina lo è diventata perché fin dal primo giorno della nascita della Repubblica popolare cinese la leadership del paese lavora verso questo obiettivo. Quindi sono partito dal 1949 per raccontare questa corsa verso importanti successi tecnologici che fanno da punti di svolta nella storia. Dalla bomba atomica ai vaccini, passando per i supercomputer e arrivando ai satelliti quantistici. Il libro vuole raccontare il come si sia arrivati a questo punto, tratteggiando la pianificazione, ma anche gli scontri tra la politica cinese e la comunità scientifica. La storia della scienza in Cina è una storia di centralizzazione della politica e di autonomia di ricerca per gli scienziati. Inoltre ci sono un sacco di storie di singoli scienziati e scienziate che mettono in luce i tentativi di cooperazione da un lato e dall’altro l’impegno cinese per essere indipendenti».
Siamo abituati ad immaginarci la Cina come uno stato totalitario, con un forte controllo sulla vita, e le opinioni, dei propri cittadini è così anche per quanto riguarda scienza, ricerca e tecnologia?
«Come dicevo prima è una sorta di corsa e rincorsa tra politica e scienza. I capitoli del libro sono suddivisi per le leadership politiche avute dalla Cina dal 1949 ad oggi. Durante queste guide diverse si osserva un differente modo di gestire il rapporto con la scienza. Sotto Mao ad esempio c’era un forte controllo sugli scienziati, con gli anni ’80 abbiamo invece una totale autonomia. Oggi assistiamo di nuovo ad una forte centralizzazione. Xi Jinping ha rimesso l’ideologia al centro della sua leadership e quindi la politica è tornata a dettare l’agenda alla scienza per centrare gli obiettivi politici. L’indirizzo è quello di puntare su semiconduttori e batterie».
Parlando di tecnologia è impossibile non pensare ai semiconduttori, ai microchip e a quanto, in questo momento, influiscano sugli scenari geopolitici. Qual è la situazione?
«La questione è particolarmente interessante. Fino agli anni ’60 la Cina produceva semiconduttori identici per qualità e performance a quelli degli Usa, Corea e Giappone. Poi naturalmente la Cina ha avuto il trauma della Rivoluzione Culturale in cui ha di fatto perso 10 anni di sviluppo, che in questo ambito sono un lasso di tempo enorme. A quel punto ha ovviato con la globalizzazione, comprandoli da chi è più avanzato: Taiwan e Corea del sud. Ovviamente lo scontro tecnologico ora in atto tra Cina e Usa, sta generando per loro difficoltà ad acquisire microchip. Non solo Biden sta cercando di tagliarli fuori, ma anche che non possa comprare la strumentazione necessaria per produrseli in casa. Questo per la Cina è un problema, visto che i semiconduttori sono forse la cosa più importante nella contemporaneità per i supercomputer. Noi pensiamo agli smartphone, ma la verità, per la politica, è che sono fondamentali per l’industria bellica, per le armi di ultima generazione. Gli Usa vogliono rallentare la corsa cinese verso un uso bellico dell’intelligenza artificiale. La Cina spesso ha dimostrato di sapere da sola superare questi momenti di impasse. Molti analisti credono che saprà produrseli da soli e forse in parte già lo fa».
Da conoscitore della Cina ci può aiutare a comprendere le posizioni del paese riguardo ai due conflitti ora in corso, Ucraina e Palestina?
«Sono questioni complesse. La sua posizione è ambigua ai nostri occhi, ma perché risente della sua rilevanza internazionale. Da una parte conosciamo i suoi rapporti con la Russia, ma è anche vero che aveva grandi rapporti commerciali con l’Ucraina che era la sua porta sull’Europa. Simile sulla Palestina, la Cina ha avuto storicamente una posizione filopalestinese che ha anche ribadito, ma è il secondo partner commerciale di Israele. Quindi la Cina in queste situazioni è sempre in difficoltà. Ha preso però una posizione netta sostenendo la Russia, perché il messaggio sul “doppio standard occidentale” serve alla Cina per dialogare con il sud del mondo, ponendosi come interlocutore affidabile. Dall’altra però ha cercato di non cadere nelle sanzioni stabilite per la Russia, senza cadere nella trappola di sanzioni secondarie che le chiudessero il mercato europeo o quello statunitense. Per la Palestina, va detto che la Cina probabilmente in Medio Oriente non abbia ancora la forza per essere un interlocutore che porta gli altri a mediare».
I rapporti con la Russia al momento come sono?
«Sono importanti a livello commerciale. Cina principale importatore di gas russo e la sostiene con le sue esportazioni. Però nei documenti ufficiali non si parla più di amicizia, ma di partnership. La Cina ha fatto spesso capire che non vede di buon occhio questa guerra lunga, che vuole stabilità. Da una parte la sostiene, dall’altra si distanzia».
La Cina è alla guida dei Brics, come dobbiamo interpretare questa alleanza? E’ in tutto e per tutto un polo alternativo a quello della Nato? Con che influenze a livello mondiale?
«Non è un polo alternativo alla Nato perché all’interno c’è l’India che viene vista come un polo alternativo alla Cina a oriente e che, sostenuta dagli Usa, lavora per evitare che i Brics diventino questo. I Brics alla Cina servono per spingere l’internazionalizzazione della propria moneta e provare a indebolire il dollaro per le transazioni internazionali».
Taiwan rischia veramente di diventare il «Caso Ucraina» dell’est del mondo?
«Abbiamo capito che la razionalità può valere poco nelle decisioni di alcuni paesi, l’Ucraina è un caso emblematico. Per Taiwan un’invasione militare sembra scongiurata da tutti gli analisti. Però sicuramente Taiwan rischia di diventare un elemento di forte rottura ogni volta che le tensioni tra Usa e Cina crescono. Però è più un discorso di retorica e dialettica, credo che se fossero onesti taiwanesi e cinesi direbbero che sono d’accordo entrambi ad andare avanti in questa ambiguità politica in cui la Cina può dire che l’isola è sua e Taiwan di fatto è autonoma. L’indipendenza de facto di Taiwan non diventerà magari mai de iure, ma dall’altra anche la Cina credo abbia accettato che non sarà quella militare la forma di avvicinamento. Anche loro sanno che ormai Taiwan è veramente una cultura differente da quella cinese, una democrazia con altri presupposti».
Xi jinping sembra aver consolidato la sua leadership accentrando il potere nelle sue mani come forse nessuno in Cina dai tempi di Mao Zedong, è così? Come ci è riuscito?
«Xi Jinping forse oggi ha più potere anche di quanto ne avesse Mao ai suoi tempi. La scelta però non è casuale, è il partito stesso ad aver deciso di avere una leadership più forte in una congiuntura molto caotica. Aggiungiamo la paranoia del partito che teme sempre possibili rivoluzioni o rivolte supportate da potenze esterne. Da qui arriva la decisione di affidarsi ad una leadership forte che ha serrato i ranghi, ma ha anche finito per indebolire la Cina a livello economico».
Dopo averla annunciata per anni la frenata dell’economia cinese è veramente arrivata, com’è la situazione? È dovuta al Covid o ci sono dei problemi strutturali?
«Era prevista ma il Covid ha peggiorato le cose. Ci sono problemi strutturali come la bolla immobiliare a cui dopo la pandemia si è aggiunta una disoccupazione giovanile che ha superato il 20%».
Per la prima volta anche la Cina sta facendo i conti con un problema demografico. Quanto è grave? Come ha influito in questo senso la politica del figlio unico?
«La Cina è effettivamente ormai un paese di anziani, che quindi avrà tutta una serie di problemi legati al welfare. Si parla di una riforma delle pensioni, ma ancora non è stata attuata visti i timori della popolazione. La crisi demografica è un problema, genera mancanza di manodopera. I cinesi in una società del benessere si sposano meno e fanno meno figli, perché costa molto, soprattutto nelle grandi città. La politica del figlio unico, abolita solo nel 2015, ha influito tantissimo che ha portato però a una decadenza delle nascite, ma anche ad un gender gap molto alto. Ci sono molti più uomini che donne. E ci riallacciamo al libro, i calcoli fatti per la politica del figlio unico furono fatti da scienziati che fino all’anno prima si occupavano del comparto militare e non avevano previsto i fattori sociali che avrebbero influito su questa politica».