Rovereto
venerdì 27 Giugno, 2025
Caporalato, il caso dei lavoratori si accordano con l’azienda per 200 euro. Ma per i sindacati ne dovevano ricevere fino a 330 mila
di Denise Rocca
La vertenza riguarda alcuni lavoratori pakistani di una ditta cartiera della Vallagarino. Gran parte dei loro stipendi veniva mandato all'estero con money transfer

Il legale della Cgil del Trentino, costituita in parte civile nel processo per caporalato che vede imputate 7 persone di un’azienda lagarina che si occupa di produzione di carta e cartone, ha risposto con una memoria alle conciliazioni sindacali presentate dalla difesa nel corso dell’ultima udienza.
A fine aprile, quindi con il procedimento penale in corso, davanti al sindacato Ugl (non confederato) ad alcuni dei lavoratori sfruttati sono stati fatti sottoscrivere degli accordi di conciliazione con l’azienda nei quali, a fronte di 200 euro ciascuno, sostanzialmente rinunciano a qualsiasi loro diritto derivante dal rapporto di lavoro e, in parte, ritrattano le affermazioni in merito alle ore di lavoro effettuate e al rispetto delle condizioni previste dal contratto nazionale di categoria rese agli inquirenti e che forniscono la base del procedimento penale contro i loro datori di lavoro.
Nelle conciliazioni i lavoratori dichiarano infatti che «la retribuzione oraria era conforme al contratto di lavoro e al Ccnl di riferimento» mentre nelle dichiarazioni agli inquirenti hanno parlato di 700 euro in media, cifra ben diversa da quella prevista. Nelle conciliazioni firmate dai lavoratori si legge anche che sarebbe stata una libera scelta quella di usare i buoni pasti presso un negozio riconducibile agli stessi titolari, e non un atto obbligato come emerso dalle indagini della Finanza. Infine, nei documenti che hanno firmato, i lavoratori rinunciano, a fronte di 200 euro, a tutte le spettanze risultanti dal rapporto di lavoro. Cifre che, ben lontane da duecento euro, nei calcoli del sindacato e del legale che lo rappresenta, l’avvocato Giovanni Guarini, arrivano a migliaia di euro. Gli importi che avrebbero dovuto percepire (e non hanno mai percepito) i lavoratori, solo per fare alcuni esempi dai calcolati effettuati dalla parte civile ammontano a 329 mila euro nel caso di una maestranza impiegata per 60 ore a settimana dal 2011 al 2023, o di 162 mila euro per un altro lavoratore impiegato dal 2016.
Va ricordato che nessuno dei lavoratori si è costituito parte civile nel procedimento a carico dell’azienda.
Il quadro accusatorio
Sulla busta paga i loro stipendi variavano dai mille ai 1.800 euro, ma erano costretti a retrocedere gran parte del salario ai propri datori di lavoro: con «money transfer», inviando denaro in patria a favore di connazionali pakistani sconosciuti indicati dall’azienda o con l’obbligo di spendere i buoni pasto, per 150 euro al mese, in un negozio di alimentari «collegato» ai loro sfruttatori. Così nelle tasche dei dipendenti rimanevano dai 500 e i 700 euro appena, per turni dalle 9 alle 13 ore al giorno, ben oltre quanto previsto dal loro contratto part-time e dal limite legale delle 48 ore settimanali. Anche gli alloggi erano gestiti dai datori di lavoro che pretendevano fino a 200 euro per un posto letto. Questo il quadro ricostruito dalla Guardia di Finanza e dalla Procura che ha portato a processo sette persone con l’accusa a vario titolo di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera e di violazione delle norme sull’immigrazione. Il procedimento penale prosegue ora davanti alla giudice Dieni la prossima settimana.