domenica 16 Novembre, 2025
Belém, 70mila in marcia per la giustizia climatica: popoli indigeni e movimenti sociali lanciano l’appello alla Cop30
di Eleonora Zomer&Allegra Zaia
Accanto ai manifestanti anche le ministre del governo Lula. La protesta per chiedere soluzioni reali alla crisi climatica, la fine dei combustibili fossili e il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni.
Il 15 novembre, Il 15 novembre, Belém si è svegliata al ritmo di tamburi e maracas, passi decisi e parole d’ordine. Nella città affacciata sul grande respiro dell’Amazzonia, oltre 70.000 persone hanno dato vita alla Marcia dei Popoli per la Giustizia Climatica: un fiume umano convocato dalla Cupola dei Popoli, un’onda che ha attraversato le strade come un richiamo alla Terra ferita. Per 4,5 chilometri, la città sede della Conferenza Onu sul Clima (Cop30) è diventata un mosaico di 65 Paesi: volti dipinti, piume, bandiere, mani che si cercano e che svolazzano aquiloni con scritte che richiamano alla giustizia climatica. Popoli indigeni, quilombolas, pescatori, lavoratori, giovani, donne, movimenti sociali – un intreccio di storie e resistenze che ha portato al mondo una sola voce, limpida e urgente: difendere soluzioni reali alla crisi climatica, difendere la vita.
I protagonisti, mobilitati in un’ampia rete di organizzazioni della società civile, hanno marciato con un appello comune: esigere riparazione per i danni che imprese e governi provocano alla società, in particolare alle comunità tradizionali e marginalizzate, puntando su “false soluzioni” che non eliminano gli impatti, ma li aggravano.
La Marcia Globale per la Giustizia Climatica ribadisce che non c’è più tempo per le illusioni. Le cosiddette soluzioni di mercato — crediti di carbonio, compensazioni forestali, geoingegneria, privatizzazione dei territori — aggravano le disuguaglianze.
Al centro delle rivendicazioni, la richiesta di una transizione energetica giusta e inclusiva, la protezione dei territori, la demarcazione delle terre indigene, un finanziamento climatico equo e pubblico, lotta al razzismo ambientale e alle diseguaglianze.
La marcia si è aperta con le voci di Sônia Guajajara, Ministra dei Popoli Indigeni, e di Marina Silva, Ministra dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico del Brasile, affermando il loro sostegno alla marcia, riconoscendo che la strada è un luogo essenziale per difendere la democrazia e la giustizia climatica.
Guajajara, dichiara: «Questo luogo diventa ora la zona blu della Cop30, dove si trovano i guardiani e le guardiane della vita». La zona blu dentro alla COP30 è il luogo dove avvengono i negoziati ufficiali e dove l’accesso è limitato alla partecipazione della società civile.
Marina Silva ha rilanciato l’appello del presidente Lula affinché questa sia la «Cop della verità», centrata sulla fine dei combustibili fossili e sull’implementazione reale degli impegni globali, fino ad ora validi soltanto sul piano teorico. La ministra ribadisce che il movimento indigeno e i popoli tradizionali sono coloro che resistono alle ferite provocate dall’avidità. Silva ha affermato: «In altre realtà politiche del mondo, le manifestazioni avvenivano solo negli spazi dell’Onu. Ora, in Brasile, un Paese del Sud Globale, di una democrazia conquistata e consolidata, si tengono nelle piazze e strade». Secondo la ministra, «dobbiamo costruire la mappa del cammino per la transizione, per la fine della dipendenza da carbone, petrolio e gas. È fondamentale che il mondo dimostri che siamo davvero pronti ad adattarci. Il nostro impegno è deforestazione zero».
Diversi movimenti sociali hanno partecipato alla marcia, tutti portando un messaggio e chiedendo una giustizia climatica equa e inclusiva. Come Ayala Ferreira, che fa parte della Direzione Nazionale del Movimento Senza Terra (Mst) che afferma: «Noi del Mst marciamo perché sappiamo che la lotta per la terra, per l’acqua e per il cibo vero è la stessa lotta per la giustizia climatica. I popoli dei territori hanno già dimostrato che esistono soluzioni reali per affrontare la crisi, mentre governi e imprese insistono nel proporre false promesse che aumentano la fame, espellono le comunità e distruggono la natura. Marciamo in solidarietà internazionale, unendo lavoratori del campo e della città, i popoli dell’Amazzonia e compagne e compagni da tutto il mondo, per affermare che la vita non è una merce e che l’uscita dalla crisi sta nella forza dei territori».
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