Sanità e innovazione

domenica 7 Maggio, 2023

Antonella Viola: «La scienza è sparita dalla tv, per raccontarla serve coraggio»

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L'immunologa è stata uno dei volti della lotta al Covid-19. A Rovereto ha parlato delle lezioni della pandemia: «In futuro serviranno risposte pronte. I segreti di un divulgatore? Dire la verità»

«Se c’è una cosa certa è che non parlerò di pandemia». Antonella Viola, docente di patologia generale all’università di Padova, è stata uno dei «volti televisivi» durante la stagione del Covid. E anche ora, quando c’è un tema sensibile non si tira indietro. Al Wired festival di Rovereto tralascerà virus e affini per affrontare il tema della comunicazione scientifica, senza orpelli («Il linguaggio della scienza», sabato 6 maggio, 14.30, teatro Zandonai).
Professoressa Viola, due anni fa c’era chi si lamentava dei troppi scienziati, spesso medici, in tv. Ora, salvo eccezioni sono scomparsi… Finita l’emergenza è finita anche l’esigenza di comunicare la scienza?
«Sì, con la fine dell’allarme la scienza è scomparsa dai radar. Cioè all’assenza di contenuti scientifici nella tv generalista. Ma se ci pensiamo è sempre stato così, si tratta di un contenuto che non ha mai fatto breccia nell’intrattenimento di massa. Ci sono eccezioni notevolissime: Piero Angela, che ora non c’è più. Quello della pandemia è stato un momento eccezionale: era necessario affrontare dei temi che spesso vengono respinti, su tutti quello della prevenzione che, nel caso specifico del Covid incrociava anche quello della vaccinazione».
L’impressione è che però non tutti abbiano accettato serenamente il massaggio. Anzi, a tre anni dallo scoppio della pandemia c’è ancora chi vive il tema con una certa ostilità.
«A partire da marzo 2020 c’era un problema: si trattava di spiegare alle persone che comportamenti, spesso spiacevoli, adottare. Poi c’è stata la campagna vaccinale. In entrambi i casi, ma personalmente non me ne sono stupita, c’è chi ha reagito con ostilità. Ci sono persone che, non appena si nomina la vaccinazione, pensano al 5G, al controllo a distanza».
E se dovesse ricapitare, come la prenderebbero?
«Se quanto è accaduto dovesse ripetersi, non ci sarà più l’effetto novità, che ha mobilitato comunque molti in un primo momento. Ma, purtroppo, nel mondo globalizzato le pandemie difficilmente possono essere evitate, nel caso servirà una risposta pronta dalla politica e dai cittadini. E occorre prevenire l’emergere di bolle, di sacche in cui circolano verità alternative, alzando il livello culturale e scientifico».
Non c’è solo la tv. Gran parte delle informazioni viaggiano online. Che ruolo hanno piattaforme e influencer?
«Internet, i social, i video su YouTube a volte veicolano informazioni molto utili. E non vanno sottovalutati, perché ormai hanno un pubblico superiore a quello della tv. Allo stesso tempo si rischia che i contenuti siano meno verificati e possono rafforzare convinzioni errate. Occorre poi fare attenzione ai divulgatori che magari hanno rudimenti di scienza e magari una buona conoscenza dell’inglese: rischiano di fare ancora più confusione».
E il mondo della scienza? Sta facendo tutto quello che serve per una corretta comunicazione?
«Purtroppo no. Ci sono diversi problemi all’interno del mondo della scienza, che andrebbero affrontati e risolti. Penso al fenomeno dei giornali predatori. Ossia le riviste pseudoscientifiche che pubblicano studi rifiutati altrove. C’è chi finisce per prenderli sul serio e si originano bufale del tipo “i vaccini fanno male” oppure “l’omeopatia funziona”. Ma anche gli addetti ai lavori hanno delle difficoltà, perché si fa fatica a controllare l’accuratezza di tutte le fonti. Anche per questo motivo servono degli interlocutori specializzati, persone che facciano da filtro tra questi dati e i cittadini».
Però quando ci sono le iniziative dedicate alla divulgazione scientifica — è il caso anche del Wired Festival — finiscono sempre per essere affollate. Un pubblico interessato c’è.
«Sì, l’interesse per le cosiddette discipline Stem (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica, ndr) è cresciuto negli ultimi anni. E forse proprio su questo i mass media tradizionali, soprattutto le tv, sono in ritardo. Non solo, si sta colmando anche uno storico gap tra uomini e donne».
Le studentesse sono la maggioranza tra gli iscritti alle università, ma nelle facoltà scientifiche non è così. Si va verso un’inversione di tendenza?
«Le cose stanno cambiando specie tra i più giovani. A volte i cambiamenti avvengono in fretta e basta pochissimo. Quando, anni fa, si cominciò a sentire parlare di Samantha Cristoforetti ci fu un boom di iscrizioni ad astronomia. Aver raccontato la vita di un’astronauta in quel modo ha fatto la differenza».
Al festival di Rovereto si parlerà anche di Intelligenza artificiale. Che opportunità ci sono nella medicina e nell’epidemiologia?
«Penso sia una grandissima opportunità per l’umanità in generale. Andrà gestita bene, bisognerà prestare molta attenzione alle fake news, ma la tecnologia sta correndo tantissimo e le nuove versioni dei chatbot sono impressionanti. Le prospettive sono molto incoraggianti in particolare per la diagnostica, ma anche l’impiego nella medicina d’emergenza è molto promettente».
Qualche settimana fa lei è finita sotto attacco per aver parlato dei rischi del consumo di alcol durante il Vinitaly. Evidentemente non sono solo il Covid o il vaccino a essere un argomento sensibile…
«È proprio la prevenzione un concetto difficile da mandare giù.. Se non so che il fumo, l’alcol o il mangiare troppo sono un problema, vivo più felice. Certo, poi può andarmi bene oppure male. Io resto convinta che è importante sapere e conoscere i rischi di tutto. Anche se è una verità che può fare male. Poi sta alla gente scegliere».
Per finire: c’è una ricetta per parlare di scienza e farlo bene?
«Serve il coraggio. Quello di dire la verità fino in fondo».