Montagna

venerdì 22 Agosto, 2025

Alpinista morto sul Pik Pobeda, parla la sorella: «Aveva già aiutato Natalia in passato. Le sue ultime parole: “Non preoccuparti, Tvb”»

Il dramma di Luca Sinigaglia. «Ha salito la vetta in cinque giorni, quando di solito ne servono venti»
Luca Sinigaglia

«Vogliamo riportare nostro fratello a casa il prima possibile. Non averlo qui ci impedisce di porre una fine alla tragedia». A parlare Patrizia Sinigaglia con voce commossa. Suo fratello Luca, 49 anni, originario di Melzo (Milano), ha perso la vita il 15 agosto a 6.900 metri di quota sul Picco Pobeda, la montagna più alta del massiccio del Tien Shan, in Kirghizistan.

 

La passione di Luca era la montagna, coltivata da oltre vent’anni con scalate che affrontava con leggerezza, come se fossero semplici passeggiate. Pochi giorni prima della tragedia, il 23 luglio, aveva raggiunto in solitaria la cima del Lenin Peak, oltre 7.000 metri al confine tra Kirghizistan e Tagikistan. Una salita lampo, completata in appena cinque giorni, quando normalmente ne servono venti. Quella impresa era stata il suo allenamento per il Pobeda, la montagna che lo avrebbe portato a realizzare un sogno: ottenere il Premio Leopardo delle Nevi, riconoscimento riservato a chi conquista tutte le cinque cime oltre i 7.000 metri dell’ex Urss. Gli mancava solo quella vetta. L’ha raggiunta, ma non è riuscito a tornare.

 

 

Dopo aver conquistato la cima, Luca stava scendendo insieme all’amico tedesco Gunther Siegmund, quando un altro alpinista, il russo Roman, li ha avvisati che la compagna di cordata, Natalia Nagovitsyna, era in gravissime difficoltà: si era rotta una gamba durante l’ascesa. Senza esitare, Luca ha preso con sé tenda, viveri, fornello e sacco a pelo, ed è risalito verso di lei insieme a Gunther, deciso a salvarla.

 

 

«Era già successo in passato che Natalia – racconta oggi la sorella – avesse incrociato la sua strada in una situazione disperata. Anni fa, sul Khan Tengri, in Kazakistan, Luca si era fermato per soccorrere lei e il marito Sergey, in difficoltà. Allora era riuscito a riportarla viva al campo base, ma il marito non ce l’aveva fatta». E, anche stavolta, Luca non si è tirato indietro.

 

 

Il 13 agosto aveva telefonato alla sorella Patrizia. Le condizioni meteorologiche erano proibitive, ma lui e Gunther avevano deciso di passare la notte con Natalia. «Mi aveva chiesto di allertare la Farnesina» racconta Patrizia. Dal campo base arrivavano pressioni a scendere, perché l’elicottero avrebbe potuto soccorrere solo una persona. Ma Luca l’aveva rassicurata: «Non preoccuparti, domani scendo. Tvb».

 

 

Il giorno successivo, i tre avevano raggiunto Roman, rifugiato più in basso. Avrebbero dovuto continuare la discesa fino a 5.300 metri per poter essere recuperati, ma il pomeriggio di Ferragosto la notizia è arrivata improvvisa: «Bad news, Luca non sta bene». A stroncarlo è stato un edema cerebrale, la malattia fulminante dell’alta quota.

 

 

Luca non aveva una compagna né figli. La sua famiglia erano il padre di 86 anni, la sorella Patrizia, il fratello Fabio e i cinque nipoti. La madre era scomparsa sette anni fa. «Era una persona generosa, empatica, con la battuta sempre pronta», lo ricorda Patrizia.

 

 

Natalia è ancora bloccata a 7.200 metri, mentre Gunther e Roman sono riusciti a scendere a piedi in un giorno e mezzo. Le loro condizioni restano incerte. Intanto la famiglia Sinigaglia lotta per riportare a casa Luca, perché solo così, dicono, si potrà dare pace a una tragedia che porta con sé il dolore immenso di una perdita, ma anche l’orgoglio per il coraggio e la generosità di un uomo che, fino all’ultimo respiro, ha pensato agli altri.